Il Corpo Italiano di Liberazione

Erede del I Raggruppamento Motorizzato, che combatté la Battaglia di Monte Lungo l’8 dicembre 1943, e precursore dei Gruppi di Combattimento che parteciparono alla fase finale della campagna d’Italia per la liberazione del nostro Paese dal dominio straniero, il Corpo Italiano di Liberazione – C.I.L. seppe dimostrare a tutti la ritrovata piena capacità operativa dell’esercito italiano dopo i drammatici eventi seguiti all’armistizio dell’8 settembre 1943.
La partecipazione a fianco delle truppe alleate durante il superamento della Linea Gustav e la conseguente liberazione dell’Abruzzo e delle Marche, con il glorioso fatto d’arme di Filottrano, rappresentarono una indubbia riscossa per il morale dei soldati italiani, offrendo al contempo un contributo indiscutibile alla riuscita delle operazioni alleate nella primavera-estate del 1944.
Tutto questo fu possibile grazie anche ad una capace e determinata Leadership militare italiana, primo fra tutti il Comandante del C.I.L. Generale Umberto Utili, che seppe far fronte al meglio non solo alle avversità del momento ma anche all’iniziale scetticismo degli Alleati.
La storia del C.I.L., come quella del I Raggruppamento Motorizzato e dei Gruppi di Combattimento, è quanto di grandioso seppero fare i soldati italiani quando era per altri “vanità sperare e follia combattere”. Per questo è necessario conoscerla, tramandarla e ricordarla, specie nel giorno della Festa della Liberazione.

Soldati italiani in Ecuador

Quest’anno ricorre il centenario della creazione della Missione militare italiana in Ecuador.

Costituita in seguito ad una convenzione governativa italo – equadoriana, operò tra il 1921 e il 1929 (ma gli effetti del lavoro della Missione si ebbero fino alla metà degli anni ’30)

Molteplici furono le attività della Missione militare italiana a favore della riorganizzazione delle Forze Armate ecuadoriane e, in generale, dello sviluppo del Paese sudamericano; la più significativa è senz’altro il concorso determinante offerto dagli italiani alla fondazione nel 1922 della Escuela de Oficiales Ingegneros da cui trae origine l’attuale Universidad de las Fuerzas Armadas (Università delle Forze Armate) dell’Ecuador.

Un recente libro (ahimè non ancora tradotto in italiano) del Generale Patricio Lloiret Orellana ne narra l’interessante vicenda che dimostra la possibilità di esportare nel mondo con successo il pensiero e l’opera dei militari italiani.

Raupenhelm

Ci sono degli elementi distintivi caratteristici di ogni esercito: per l’esercito bavarese questo è stato il Raupenhelm (che non ha una traduzione puntuale in italiano, mentre in francese è definito – non del tutto correttamente, per chi scrive – Casque à la romaine).

Caratterizzato da un ornamento superiore di pelliccia (per gli ufficiali) e di lana (per i sottufficiali e graduati di truppa), ha le sue origini negli elmi di cavalleria inglese indossati nella guerra d’indipendenza americana così come nella fanteria dell’esercito prerevoluzionario francese.

Il Raupenhelm è stato indossato dalle truppe bavaresi fino alla morte del Re Luigi II nel 1886 ed è oggi osservabile nei tanti monumenti ai caduti sparsi per la Baviera (nella foto il monumento ai caduti di Taufkirchen vicino Monaco).

40 anni di fraternità a cavallo

Dal nostro collaboratore Colonnello Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo relativo al conferimento della Medaglia d’Oro al Merito della Sanità Pubblica allo Stendardo del Reggimento Artiglieria a cavallo 40 anni fà.

Il 3 aprile 1981 lo stendardo del Reggimento artiglieria a Cavallo viene decorato con la Medaglia d’Oro al Merito della Sanità Pubblica con la seguente motivazione “Per l’attività svolta dagli artiglieri a cavallo nel recupero di bambini diversamente abili attraverso l’ippoterapia”.
Primo Reparto delle Forze Armate e delle Forze di Polizia ad essere stato insignito di tale riconoscimento, oggi il Reggimento fornisce supporto a quasi 200 bambini e adulti.
“…Trovo degnissimo che un Reggimento carico di episodi, di audacie, di tormenti e di gironi del sangue non si sia chiuso nei ricordi dei suoi memorabili cavalli da guerra. Ma offra il suo aiuto silenzioso a chi si batte tutt’i giorni per pacificare la pena, la malattia, lo sconforto.
Ci sono bambini da struggersi sulle selle, e le volontarie camminano. Si sentono stridere le rondini e subito fuori si tengono tersi i cannoni. Così va il mondo.
A tavola dico adagio al Colonnello: “Quel che ho veduto stamattina al maneggio onora il vostro Kepì con la nappina e lo distingue ancora”.
Il giovane comandante annuisce volentieri e la crocerossina ride di dedizione. Vengono lontani nitriti.”
(Giorgio Torelli, Il Giornale nuovo, 25 maggio 1980)

Vent’anni dopo il Generale Bertoncin scrisse “Come nacque l’Ippoterapia alle Batterie a Cavallo: la storia vera, scritta vent’anni dopo da chi le diede vita”.

“Il mio Reggimento, che da Milano si estendeva sino a Cremona con il suo III Gruppo, viveva alcune situazioni del tutto particolari: il vanto della cura di oltre cento cavalli e dell’addestramento di una batteria montata, replica perfetta di quelle Batterie che nel 1831 i piemontesi chiamarono Volòire, volanti, la cura diuturna per i suoi kepì ed il controllo di un altro Reparto convivente alla Caserma Santa Barbara, la preparazione dell’imminente ricorrenza del Centocinquantesimo anniversario della fondazione delle Batterie, che si doveva degnamente celebrare. Senza trascurare, naturalmente, tutte le normali cure, non certo neglette: in particolare nulla di “artiglieresco“ venne tralasciato, tanto che per la prima volta nella sua storia recente il Reggimento, pluricalibro, nel poligono di Monteromano intervenne con tutti i suoi quattro Gruppi , facendo ciò che pochi Colonnelli di Artiglieria possono dire di aver fatto: concentramenti di Reggimento.

In questo quadro avvenne il mio incontro con due splendide persone, che non dimenticherò per quanto viva: Sorella Antonia Setti Carraro e il Dottor Luciano Cucchi. E’ inutile parlare della prima: la sua vita, i suoi libri, l’esser madre di quella dolce Emanuela che s’immolò con un altro vero grande d’Italia, il Gen. Dr. Carlo Alberto dalla Chiesa, parlano per lei. Il secondo, provetto cavaliere, chirurgo e pediatra generoso, gentiluomo di tratto e di spirito, era persona che infondeva fiducia e rispetto.

Sorella Setti Carraro mi parlò di bimbi minorati nel fisico, incapaci di camminare o di reggersi o, semplicemente, di sorridere. Mi disse che l’amore ed il cavallo potevano aiutarli. Mi perdoni oggi, Sorella Antonia, alla fine della sua perorazione pensai che lei dovesse essere pazza, pazza d’amore, come s’è detto di Gesù, ma sempre pazza. Mettere in groppa d’un cavallo chi non sa neppur reggersi e che a fatica sa stringere le briglie? In quel momento solo l’educazione mi tratteneva dal dire: “Ho tante cose da fare, per cortesia, non fatemi perdere tempo… “. Poi parlò il Dottor Cucchi. L’ippoterapia non era solo un neologismo: in Germania si praticava già, in Italia c’era l’ANIRE che faceva corsi, necessariamente costosi e scomodi, ben fuori Milano. Dei risultati lui, pediatra e cavaliere, si rendeva garante. Sorella Antonia, grazie al Dottor Cucchi, aveva trovato i cavalli ed anche l’amore. Io sapevo che potevo contare su un altro uomo meraviglioso, il Capitano Gianmarco Di Giovanni, Comandante della Batteria a Cavallo. Per attuare la proposta non mancava che il nullaosta delle SS.AA. Qui si complicarono orrendamente le cose.
Non ero mai andato “a Roma”, per bussare a porte potenti. Lo feci per l’ippoterapia. Come Capo Ufficio Operazioni dello SME ebbi la fortuna di trovare il parigrado Angioni, delle cui capacità si resero conto gli Italiani ed il mondo qualche anno più tardi. Ascoltò, mi credette, agì. L’autorizzazione arrivò. Il Reggimento non poteva far tutto da solo: occorreva un’esperienza specifica, che venne fornita dalla Dottoressa Danièle Citterio; occorrevano nozioni infermieristiche da parte di chi conoscesse anche il cavallo: tre splendide crocerossine guidate dalla dolce Emanuela Setti Carraro. La cura e la condotta dei cavalli, le groppe a lucido per il lavoro di brusca e striglia, la preparazione del maneggio, la rastrellatura della pula, fu opera del Reggimento. La notizia si diffuse. La Caserma fu assediata prima da genitori e figli che avevano negli occhi un’incredula speranza e tanta riconoscenza, e poi da giornalisti ed operatori televisivi.

Nel corso della solenne cerimonia rievocativa dei centocinquanta anni, l’8 aprile 1981, lo Stendardo fu decorato dal Ministro della Sanità Aldo Aniasi della Medaglia d’Oro al merito della Sanità Pubblica. I cavalli ed i kepì delle Batterie avevano dato la speranza a tanti piccoli ed amati ospiti.

(Gen. Diego Bertoncin 54° Comandante, giorno di Santa Barbara 2000)