La battaglia e il santo

La magnificente cappella Corsini della Basilica di S. Maria del Carmine di Firenze ospita, tra le altre pregevoli opere d’arte, un altorilievo marmoreo di Giovan Battista Foggini che raffigura S. Andrea Corsini (1301 – 1374) che protegge i combattenti fiorentini nella battaglia di Anghiari, combattuta il 29 giugno 1440 tra le truppe milanesi del Visconti e i fiorentini a capo di una coalizione cui partecipavano anche veneziani e pontifici. La battaglia riportò la vittoria di Firenze e dei suoi alleati.

Secondo la tradizione, S. Andrea Corsini apparve nel cielo sopra Anghiari durante la battaglia ed è proprio questo episodio che la famiglia Corsini e il Foggini decidono di realizzare. La scultura rappresenta infatti il Santo che impugna una spada sulla destra e sulla sinistra il pastorale, mentre alcuni angeli gli sorreggono il mantello e la mitra. Il gruppo celeste sovrasta una moltitudine di combattenti sotto le mura di una città fortificata.

Una rappresentazione possente e suggestiva di un fatto d’arme che unisce una delle più illustri famiglie fiorentine alla storia della propria città.

Il trasvolatore

Nel centenario della fondazione dell’Arma Azzurra, a cui rivolgiamo i più fervidi voti augurali, ricordiamo una bella biografia scritta dallo storico Giorgio Rochat su una delle figure centrali della storia dell’Aeronautica militare italiana: Italo Balbo (1896 – 1940).

Si tratta del libro Italo Balbo, UTET, Torino, 1986 che ancora oggi può essere considerata un’ opera fondamentale su un personaggio che svolse un ruolo importante nella storia d’Italia nel periodo fascista oltre che nell’affermazione del prestigio dell’aviazione italiana nel mondo negli anni ’30 realizzando le celebri “crociere ” o “trasvolate” aeree.

Giorgio Rochat ripercorre con equilibrio critico la gioventù di Balbo, la sua opera di organizzatore del fascismo ferrarese, la partecipazione come Quadrumviro alla “Marcia su Roma” del 28 ottobre 1922 e, in seguito, l’approdo al ministero dell’Economia e poi all’Aeronautica, da dove inizia il salto definitivo nella storia d’Italia e dell’Aeronautica militare.

L’assistenza dello Spirito

Dal Generale Mario Ventrone riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo sull’organizzazione di assistenza spirituale ai soldati.

Gli eserciti hanno sempre riservato una particolare attenzione alla organizzazione spirituale dei soldati: senza andare troppo indietro nel tempo, tutti gli Stati italiani preunitari disponevano di cappellani militari inseriti nell’organizzazione castrense.

Per quanto riguarda in particolare l’Esercito Italiano, la crisi nei rapporti fra il Regno d’Italia e la Chiesa cattolica, susseguente alla presa di Roma nel 1870, determinò la quasi totale scomparsa dei cappellani e così nella guerra d’Eritrea del 1896 il servizio religioso ai militari italiani fu reso possibile solo grazie alla disponibilità volontaria dei padri Cappuccini; nella guerra di Libia del 1911 operarono alcuni sacerdoti diocesani.

Nell’aprile del 1915 il Generale Cadorna firmò una circolare per il ripristino dei cappellani militari; il 1° giugno dello stesso anno la Santa Sede segnalò monsignor Angelo Bartolomasi come responsabile del servizio, con il titolo di Vescovo di Campo e con le prerogative di Vescovo Ordinario; egli fu nominato Vicario Castrense e mantenne l’incarico fino allo scioglimento del servizio di assistenza spirituale, nel 1922.

Sulla scorta dell’esperienza maturata nel conflitto, l’Ordinariato Militare fu formalmente eretto dalla Sacra Congregazione Concistoriale nel 1925 e venne riconosciuto dallo Stato italiano l’anno successivo. Il riconoscimento fu confermato con il Concordato Lateranense del 1929 e nel 1936, con una apposita legge, furono definiti i compiti dei cappellani militari e ne fu disposta l’assimilazione alle gerarchie militari.

All’inizio della seconda guerra mondiale, tuttavia, molti reparti erano privi del servizio di assistenza spirituale; circostanza che mutò in breve tempo con la mobilitazione dei cappellani che parteciparono al conflitto su tutti i fronti.

Nel 1955 fu ammodernata la legge del 1936 e infine, nel 1961, furono definite le norme di stato giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale dell’assistenza spirituale alle Forze Armate dello Stato (le norme suddette sono ora comprese nel “Codice dell’ordinamento militare”).

La presenza dei cappellani nelle Forze Armate è stata confermata con il Concordato del 1984 dove è ribadito che “la Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle Forze Armate, alla Polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici. L’assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle Autorità italiane competenti su designazione dell’Autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabilite d’intesa fra tali autorità”.

Sorella Ada

Lo scorso 22 novembre, all’età di 98 anni, è scomparsa a Bolzano la leggendaria “crocerossina” Sorella Ada Vita.

Entrata nel benemerito Corpo Infermiere Volontarie della Croce Rossa (Corpo ausiliario delle Forze Armate italiane) nel 1959, diventa Ispettrice del distaccamento bolzanino del Corpo nel 1968, restando in servizio per oltre 40 anni.

Tra le innumerevoli missioni di soccorso, nel 1982 partecipa, insieme ad altre 9 consorelle, alla spedizione militare italiana in Libano come infermiera dell’ospedale militare da campo: di questa esperienza ha lasciato un diario (oggi conservato presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano -Arezzo) che rappresenta una preziosa e primaria fonte documentale di quell’importante evento della storia nazionale.

Il motto del Corpo Infermiere Volontarie, fondato nel 1908 e a cui è stata concessa nel 1985 la bandiera (oggi pluridecorata) è: “Ama, conforta, lavora e salva”: quale parole più belle?

La stirpe di combattenti

Nella storia militare italiana esiste una stirpe di combattenti: Giuseppe Garibaldi e i suoi prossimi diretti discendenti.

Alla morte dell’eroe dei due mondi infatti i suoi figli Ricciotti e Menotti e poi i nipoti Ricciotti jr, Sante, Costante, Peppino, Bruno e Ezio continuarono la sua opera di guerriero per la libertà combattendo, tra l’altro, nella Argonne nella Grande Guerra nelle file dell’Esercito francese.

Di quest’ultimi nipoti, Bruno e Costante morirono combattendo valorosamente sul campo in Francia mentre gli altri giovani Garibaldi, all’ ingresso in guerra dell’Italia contro gli imperi centrali il 24 maggio 1915, continuarono a combattere sul suolo patrio in particolare sul Col di Lana e la Marmolada.

Nella seconda guerra mondiale la tradizione garibaldina troverà la sua espressione non solo nella Divisione “Garibaldi” (formata da militari provenienti dalle disciolte Divisioni Venezia, Taurinense ed Emilia dell’Esercito italiano) che combatterà in Jugoslavia ma anche in Sante Garibaldi, membro della Resistenza francese, che morirà in conseguenza della sua detenzione nei Lager nazisti.

Moda militare

Nella magnifica Armeria (nella cosiddetta Sala Verde che un tempo ospitava le guardie di Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano dal 1466 al 1476) del Castello Sforzesco di Milano, si possono ammirare splendide armature di epoca rinascimentale così come armi bianche e da fuoco del periodo XIV – XIX secolo.

Nel Cinquecento le armature iniziarono ad imitare le forme degli abiti civili diventando sempre più oggetti da indossare in occasione di cerimonie e parate: queste armature erano tanto più raffinate quanto più elevato era il rango di chi le indossava.

L’estetica ebbe la meglio sulla funzionalità: armature sbalzate, cesellate, dorate e argentate riflettevano anche nel mondo militare la moda e il gusto del tempo, aggiungendo così un alto valore ad un manufatto più artistico che bellico.

A riprova di quanto sopra, l’immagine d’apertura ritrae uno splendido “Corsaletto” con elmo, opera di un artista dal nome Maestro del Castello.

Testimoni del tempo

Dal Col. Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo bel Post sulla storia dei Martiri di Otranto che merita di essere conosciuta.

La storia, quando viene raccontata per episodi, sembra un concatenamento di casi fortuiti. Ma se si considerasse la storia totale, nella maniera piu’ ampia possibile, si potrebbe tentare di trovare la sua legge. Non ci si limiterebbe a narrarla: la si potrebbe dedurre. Questo principio vale, ovviamente, per le analisi e le valutazioni di tutti gli eventi, anche quelli contemporanei.

Che cosa si potrebbe dedurre se si considerasse che Maometto II aveva conquistato Costantinopoli nel 1453 (si veda https://storiaesoldati.wordpress.com/2022/05/28/la-regina-delle-artiglierie/) , a 21 anni, e da quel giorno si era dato anche il titolo “Qayser-i Rum” (Cesare di Roma) e già nel 1454 l’Ambasciatore veneziano Niccolò Sagundino aveva riferito al re di Napoli, Alfonso “il Magnanimo”, le intenzioni di Maometto II di conquistare l’Italia ,e Roma in particolare, e che dal 1475 il grido di guerra delle truppe ottomane è “Rum! Rum!” (Roma! Roma!)?

Ricordiamo ancora che gli Ottomani continuavano ad espandersi e occupare gran parte dei Balcani. Nel 1478, superate le resistenze dei discendenti di Scanderbeg (si veda https://storiaesoldati.wordpress.com/2022/01/11/il-difensore-impavido/) , occupano l’intera Albania.

Intanto la Repubblica Veneziana, aveva lentamente perso il vasto impero marittimo senza ricevere sostegno dalla monarchie d’Italia o d’Europa. Tuttavia voleva continuare a commerciare e quindi era disposta a scendere a patti con gli Ottomani che addirittura le proponevano di fornire supporto militare per l’occupazione di parte del Sud Italia.

Papa Pio II, impossibilitato a promuovere una crociata, pensava di convincere Maometto II a farsi battezzare. Intanto gli Ottomani firmavano la pace con la Valacchia e la Moldavia per potersi focalizzare verso l’Italia.

Ma soprattutto le rivalità e invidie nella penisola erano ben note al sultano e la Congiura dei Pazzi, 26 aprile 1478, portava a contrapposizioni durevoli in Italia.

Infine nel 1479 circolavano insistentemente voci dell’ammassamento di forze e navi in Albania.

L’Albania è il punto più vicino all’Italia e il mare Adriatico, sebbene possa rappresentare un ostacolo naturale, è allo stesso tempo una via veloce e facile per approdare in Italia.

Cosa puo’ fare a questo punto Maometto II, che intanto si e’ aggiunto l’appellativo di “Fatih” (il “Conquistatore”)?

Attraversare l’Adriatico e iniziare la conquista dell’Italia.

Infatti, il 28 luglio 15000 Ottomani guidati da  Ahmet Pascià, Sangiacco (governatore) del distretto di Valona, già gran visir e gia’ comandante delle forze ottomane di terra e di mare, sbarcavano, da 130 navi, a Nord di Otranto in quella che prenderà il nome di Baia dei Turchi.

Trasportavano anche cavalli, artiglierie e munizioni. C’erano pure i Giannizzeri, l’elite dell’esercito turco, e i Sipahi, la cavalleria pesante ottomana.

Iniziava il breve assedio della citta’ di Otranto, difesa dal Capitano Francesco Zurlo con pochi uomini e armi.

Iniziando con l’uccisione dell’ambasciatore ottomano e di prigionieri impalati, i combattimenti e la presa della citta furono caratterizzati da reciproche atrocita’ che raggiungono la massima crudelta’ l’11 agosto, con la strage in cattedrale del vescovo Stefano Pendinelli e di tutti i civili che li si erano rifugiati, e ancora il 14 agosto, sul Colle della Minerva con la decapitazione di oltre 800 Idruntini.

Malgrado l’occupazione della citta’ e le orribili violenze e profanazioni, probabilmente per attuare un terrorismo psicologico finalizzato a facilitare la resa di altre citta’, questo forte segnale espansionistico degli Ottomani non rappresenta un campanello di allarme per gli stati della Penisola.

Unicamente la morte del sultano, nel settembre del 1481, e i connessi problemi di successione al trono costringera’ la guarnigione Ottomana, che era stata fiaccata solo dalla peste, ad abbandonare l’Italia senza essere mai stata sconfitta.

Solo grazie a questa “divina provvidenza” Roma e l’Italia evitano di diventare un distretto del gia’ enorme Impero Ottomano. Otranto restera’ la conquista piu’ ad occidente realizzata da truppe Ottomane.

Gli Ottomani cambieranno il focus verso l’Ungheria, la Persia e l’Egitto diventando sempre più potenti nel Mediterraneo Orientale

Oggi le ossa degli 800 martiri Idruntini, poveri cristiani massacrati e vittime di interessi di altri, sono esposte presso la Cappella dei Martiri realizzata all’interno della Cattedrale di Santa Maria Annunziata di Otranto. Nel 2013 gli 800 martiri sono stati canonizzati da Papa Francesco.

La foresta del silenzio

A Monaco di Baviera, nel Waldfriedhof (cimitero della foresta), si trova un luogo della memoria italiano immerso nel silenzio e nel verde.

Il cimitero militare italiano (uno dei quattro che si trovano in Germania; gli altri sono ad Amburgo, Berlino e Francoforte sul Meno) raccoglie, in un’area di circa 35.000 mq, le spoglie di 1.790 caduti nella Grande Guerra e 1.459 morti nel 2° conflitto mondiale: si tratta di prigionieri, internati e deportati italiani nelle regioni meridionali della Germania che non rividero più la Patria, oggi rappresentata dal Tricolore che garrisce al vento.

Tutte le tombe sono individuali e sono indicate da un cippo alla sommità del quale una targa di bronzo indica il nominativo della salma e la data di morte. Per i corpi non identificati, la targa riporta semplicemente il termine “ignoto”.

Il cimitero militare italiano di Waldfriedhof, che rientra nelle competenze del Ministero della Difesa – Commissariato Generale per le onoranze ai caduti, è sorvegliato dal Consolato Generale d’Italia di Monaco di Baviera e si presenta curato ed in ordine: un’espressione di rispetto e riconoscenza per le innocenti vittime di tragedie più grandi di loro.

La morte dell’eroe

Con questo articolo inizia la collaborazione con Storia&Soldati del Sottotenente Dr. Paolo Formiconi, giovane ufficiale e valente storico militare. È un vero piacere e un privilegio unico pubblicarlo.

Buona Festa della Repubblica a tutti, in particolare a coloro che leggono Storia&Soldati!

Garibaldi iniziò a star male all’inizio dell’estate. Ovvero più male del solito. La sua salute non era buona fin dal tempo del Sudamerica, reumatismi, artrite, bronchite cronica, mal di denti. Per fortuna aveva un cuore forte. Leniva i dolori coi Sali d’oro e seguiva una dieta sana, ma si ostinava a prendere bagni di acqua fredda, micidiali per i suoi reumi. Solo all’ultimo accettò di intiepidirla. Calda mai, non sarebbe stato da uomo. Quando l’artrite lo bloccava, si spostava per la casa in una carrozzella, e a quello scopo aveva fatto sostituire le scale da avveniristiche rampe inclinate. Le sue condizioni peggiorarono alla vigilia del suo settantacinquesimo compleanno, che sarebbe caduto il 4 luglio 1882. Il 1° giugno ebbe un accesso febbrile e dovette mettersi a letto. Respirava a fatica e si chiamò subito il medico di una nave alla fonda a Caprera, il Cariddi. Quest’ultimo diagnosticò un grave problema respiratorio. Vennero chiamati i figli lontani e anche il medico di fiducia, quel dottor Albanese di Palermo che gli aveva estratta la pallottola dal piede vent’anni prima. Avvisato, costui si mise in viaggio subito, ma non ci fu tempo. Il pomeriggio del 2 giugno fu chiaro che il l’Eroe era agli ultimi passi. Probabilmente anche lui lo capì, perché chiese di vedere il giovane figlio Manlio, che giaceva, anche lui ammalato, in una stanza vicina. Non fu possibile per via del pericolo di contagio, e allora il Generale stette in silenzio osservando a lungo il mare fuori la finestra. Nella stanza, dove tutta la sua piccola tribù era riunita, nessuno osava parlare mentre il sole si abbassava e le ombre invadevano la stanza. “Sudo”, disse ad un tratto toccandosi la fronte, poi si assopì. Non si risvegliò, e il mondo apprese la sera stessa la sua morte. Erano le 18.22 del 2 giugno 1882.

Abu Tabela

Non solo militari britannici, tedeschi e francesi furono scelti a condurre eserciti stranieri. Come abbiamo già scritto su questo Blog, anche diversi soldati italiani (Gian Battista Rubino Ventura, Gerolamo Emilio Gerini) si ricoprirono di gloria al comando di truppe straniere.

Alla schiera si aggiunge oggi il Generale Paolo Avitabile (1791 – 1850), ufficiale dell’esercito del Regno delle Due Sicilie che divenne famoso in Oriente quale comandante (col nome leggendario, ai giorni nostri ancora ricordato in quei territori, di Abu Tabela) delle truppe del Maharaja Ranjit Singh fondatore dell’impero Sikh.

Governatore della città di Peshawar e fondatore della città di Wazirabad (entrambe nell’odierno Pakistan), fu richiesto dai britannici durante la prima guerra anglo- afghana (1839 -1842) cui offrì un apporto fondamentale.

Originario di Agerola (nella provincia di Napoli, sui Monti Lattari) vi fece ritorno alla fine della carriera militare per morirvi nel 1850.

È sepolto nella chiesa cinquecentesca di San Martino Vescovo nella frazione Campora di Agerola.