Dal Generale Mario Ventrone riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo sul condottiero Giovanni Acuto.
Il condottiero inglese John Hawkwood (conosciuto in Italia come Giovanni Acuto) è uno dei più famosi capitani di ventura dell’Italia del secondo Trecento, attraversata, corsa e dilaniata da eserciti mercenari in cerca di ricchezze e (i loro capitani soprattutto) di spazio politico.
Giovanni Acuto nacque in Inghilterra, nella contea di Essex, probabilmente intorno agli anni Venti del Trecento. Giovane e squattrinato, scelse la carriera delle armi e iniziò il suo apprendistato nel corso della guerra dei Cento Anni (durata in realtà 114 anni, con periodi più o meno lunghi di quiete). E’ proprio a seguito di uno di questi periodi di tregua (decisa nel 1360 a Bretigny) che il futuro condottiero si trovò senza ingaggio e si aggregò a una compagnia che dalla Francia settentrionale mosse verso la Lombardia.
E nel Nord Italia Giovanni fece il suo esordio nelle guerre d’Italia e, agli ordini dei pisani, partecipò alle operazioni contro Firenze. Nel 1364 Acuto divenne il comandante della compagnia e l’esordio, alla fine di luglio di quell’anno, non fu tra i più brillanti: nei pressi di Cascina l’esercito pisano fu travolto.
Acuto passò quindi al servizio di Bernabò Visconti, poi di Santa Romana Chiesa e, infine, nel 1377 di Firenze, nel frattempo divenuta alleata di Bernabò Visconti, in “cogestione” con il Milanese. Giovanni fu anche tentato da Venezia perché passasse al suo servizio, ma rifiutò l’ingaggio. Partecipò alla repressione del tumulto dei Ciompi del 1378 e anche successivamente, nel 1382, fu ancora impiegato in compiti di polizia interna, compito che Giovanni Acuto non deve aver molto amato tant’è che si impegnò nella guerra per la successione al trono di Napoli. Ma era ancora al servizio di Firenze e il Papa Urbano VI fu costretto a chiedere alla Signoria di poter disporre dell’Inglese. Era quasi impossibile dire di no al Pontefice, al quale la città doveva anche un risarcimento in denaro per la guerra degli Otto Santi di qualche anno prima, e che la “cessione” del condottiero avrebbe potuto ridurre o azzerare, ma accettare avrebbe significato il diretto coinvolgimento della città nella guerra. Formalmente quindi la risposta dei Fiorentini fu negativa ma essi stessi ammisero che se l’Acuto avesse dichiarato di preferire il Pontefice, non lo si sarebbe certo potuto trattenere contro la sua volontà.
Dopo una breve parentesi di due anni al servizio di Padova, nel 1387 il condottiero tornò definitivamente a Firenze, costruendo un nuovo rapporto con la città, fatto non più di prestazioni occasionali ma basato su un legame permanente anche se non privo di frizioni, come quando partecipò – contro il volere della città, timorosa di un deterioramento dei rapporti con il Re di Francia – alla spedizione di Margherita di Durazzo contro gli Angiò in Puglia. Ormai settantenne, nel 1390 rientrò da Napoli e partecipò, per Firenze, alla guerra contro Gian Galeazzo Visconti: fu la sua ultima operazione militare. Nel 1392 fece ritorno a Firenze, dove morì il 17 marzo 1394, nella sua casa fuori le mura della città; la salma fu esposta nella chiesa di S. Giovanni, rivestita di un drappo d’oro, della spada e del bastone di comando. I funerali del condottiero furono officiati il 20 marzo, in S. Maria del Fiore: il corteo che da piazza della Signoria mosse verso s. Maria del Fiore era composto da almeno cinquecento religiosi, da tutti i più prestigiosi cavalieri della città, le alte magistrature al completo e da tantissimi comuni cittadini.
L’anno dopo la salma, richiesta da Riccardo II, fu traslata in Inghilterra, nei secoli successivi i suoi resti furono dispersi. Nel 1436 l’Opera del Duomo di Firenze incaricò Paolo Uccello di dipingere l’immagine del condottiero, nello stesso posto dove già esisteva un precedente affresco. Il capolavoro, chiaramente ispirato alla statua equestre di Marco Aurelio a Roma, è ancora visibile nella cattedrale si S. Maria del Fiore e perpetua l’immagine e la gloria del condottiero inglese.