Le Forze della Serenissima

La Serenissima Repubblica di Venezia, all’inizio del XVI secolo, si trovava nel pieno della sua potenza politica e economica.

Affermata autorità sui mari, Venezia aveva cominciato a far sentire la sua forza anche nei possedimenti terrestri, soprattutto in Italia dove aveva raggiunto ad occidente a lambire il Ducato di Milano dopo essersi affermata ad oriente con i territori del Friuli, della Dalmazia e della Grecia.

Per mantenere questi possedimenti si affidava a forze terrestri articolate in formazioni chiamate Cernide (o Cernite) e Provvisioni.

Le prime erano forze popolari, perlopiù contadine, arruolate all’occorrenza con la prospettiva di un’esenzione quinquennale dalle tasse (e la partecipazione a eventuale bottino) mentre le seconde erano formazioni di mercenari.

Il comando non era unitario (limite gravissimo per la condotta delle operazioni) ma suddiviso tra il Capitano Generale delle Milizie e il Governatore delle Armi.

Con queste truppe la Serenissima non solo garantì a lungo la propria sicurezza ma soprattutto il possesso dei suoi vasti territori.

Chissà perché così tardi

Il servizio militare femminile in Italia, su base volontaria quando ancora esisteva il servizio di leva obbligatorio, è stato introdotto con la legge delega 20 ottobre 1999, n. 380, attuata poi con un paio di provvedimenti legislativi: il d.lgs. 31 gennaio 2000, n. 24 e il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 marzo 2000, n. 112.

Le norme stabilirono la possibilità di arruolamento delle donne nelle Forze Armate italiane e nel Corpo della Guardia di Finanza senza alcuna limitazione.

I primi arruolamenti avvennero nel 2000; ciò ha fatto dell’Italia l’ultimo Paese membro della NATO (dell’epoca) a consentire l’ingresso delle donne nelle forze armate.

Chissà perché così tardi…

Un’arma opera d’arte

A metà del XVII secolo ha operato a Firenze la famosa officina di Cosimo Cenni che fondeva cannoni.

Uno di questi cannoni, di straordinaria fattura, si trova oggi nel Museo Nazionale del Bargello sito nel capoluogo toscano.

Il cannone, in bronzo, venne commissionato dal Granduca Ferdinando II de’ Medici per la fortezza di Pisa. È ornato sulla culatta del volto barbuto di San Paolo (è infatti chiamato Il cannone di San Paolo) e sull’affusto riporta lo stemma mediceo.

L’opera costituisce uno dei vertici raggiunti dai Maestri fonditori toscani  nella produzione e decorazione di quelle artiglierie che con la loro sontuosità dovevano contribuire all’esaltazione della potenza militare.

Un altro cannone fuso dell’officina di Cosimo Cenni è oggi esposto al Museo Nazionale dell’Artiglieria di Torino.

L’inglese d’Italia

Dal Generale Mario Ventrone riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo sul condottiero Giovanni Acuto.

Il condottiero inglese John Hawkwood (conosciuto in Italia come Giovanni Acuto) è uno dei più famosi capitani di ventura dell’Italia del secondo Trecento, attraversata, corsa e dilaniata da eserciti mercenari in cerca di ricchezze e (i loro capitani soprattutto) di spazio politico.

Giovanni Acuto nacque in Inghilterra, nella contea di Essex, probabilmente intorno agli anni Venti del Trecento. Giovane e squattrinato, scelse la carriera delle armi e iniziò il suo apprendistato nel corso della guerra dei Cento Anni (durata in realtà 114 anni, con periodi più o meno lunghi di quiete). E’ proprio a seguito di uno di questi periodi di tregua (decisa nel 1360 a Bretigny) che il futuro condottiero si trovò senza ingaggio e si aggregò a una compagnia che dalla Francia settentrionale mosse verso la Lombardia.

E nel Nord Italia Giovanni fece il suo esordio nelle guerre d’Italia e, agli ordini dei pisani, partecipò alle operazioni contro Firenze. Nel 1364 Acuto divenne il comandante della compagnia e l’esordio, alla fine di luglio di quell’anno, non fu tra i più brillanti: nei pressi di Cascina l’esercito pisano fu travolto.

Acuto passò quindi al servizio di Bernabò Visconti, poi di Santa Romana Chiesa e, infine, nel 1377 di Firenze, nel frattempo divenuta alleata di Bernabò Visconti, in “cogestione” con il Milanese. Giovanni fu anche tentato da Venezia perché passasse al suo servizio, ma rifiutò l’ingaggio. Partecipò alla repressione del tumulto dei Ciompi del 1378 e anche successivamente, nel 1382, fu ancora impiegato in compiti di polizia interna, compito che Giovanni Acuto non deve aver molto amato tant’è che si impegnò nella guerra per la successione al trono di Napoli. Ma era ancora al servizio di Firenze e il Papa Urbano VI fu costretto a chiedere alla Signoria di poter disporre dell’Inglese.  Era quasi impossibile dire di no al Pontefice, al quale la città doveva anche un risarcimento in denaro per la guerra degli Otto Santi di qualche anno prima, e che la “cessione” del condottiero avrebbe potuto ridurre o azzerare, ma accettare avrebbe significato il diretto coinvolgimento della città nella guerra. Formalmente quindi la risposta dei Fiorentini fu negativa ma essi stessi ammisero che se l’Acuto avesse dichiarato di preferire il Pontefice, non lo si sarebbe certo potuto trattenere contro la sua volontà. 

Dopo una breve parentesi di due anni al servizio di Padova, nel 1387 il condottiero tornò definitivamente a Firenze, costruendo un nuovo rapporto con la città, fatto non più di prestazioni occasionali ma basato su un legame permanente anche se non privo di frizioni, come quando partecipò – contro il volere della città, timorosa di un deterioramento dei rapporti con il Re di Francia – alla spedizione di Margherita di Durazzo contro gli Angiò in Puglia. Ormai settantenne, nel 1390 rientrò da Napoli e partecipò, per Firenze, alla guerra contro Gian Galeazzo Visconti: fu la sua ultima operazione militare. Nel 1392 fece ritorno a Firenze, dove morì il 17 marzo 1394, nella sua casa fuori le mura della città; la salma fu esposta nella chiesa di S. Giovanni, rivestita di un drappo d’oro, della spada e del bastone di comando. I funerali del condottiero furono officiati il 20 marzo, in S. Maria del Fiore: il corteo che da piazza della Signoria mosse verso s. Maria del Fiore era composto da almeno cinquecento religiosi, da tutti i più prestigiosi cavalieri della città, le alte magistrature al completo e da tantissimi comuni cittadini.

L’anno dopo la salma, richiesta da Riccardo II, fu traslata in Inghilterra, nei secoli successivi i suoi resti furono dispersi. Nel 1436 l’Opera del Duomo di Firenze incaricò Paolo Uccello di dipingere l’immagine del condottiero, nello stesso posto dove già esisteva un precedente affresco. Il capolavoro, chiaramente ispirato alla statua equestre di Marco Aurelio a Roma, è ancora visibile nella cattedrale si S. Maria del Fiore e perpetua l’immagine e la gloria del condottiero inglese.

Le altre guardie svizzere

Nei secoli passati, specialmente nel periodo del Rinascimento, i soldati svizzeri erano considerati i migliori d’Europa.

Nel 1653 la Guardia di Palazzo della Repubblica di Lucca (istituita nel 1532 e composta originariamente da giovani nobili non toscani) venne attribuita a 70 svizzeri cattolici del Cantone di Lucerna.

Le Guardie svizzere rimasero a Lucca fino al 1799 (anno in cui la Repubblica venne abolita dai francesi) sulla base delle apposite capitolazioni rinnovate nel 1666 e 1748.

Di questa esperienza storica è traccia il Cortile degli Svizzeri del Palazzo Ducale di Lucca, luogo deputato oggi alle celebrazioni ufficiali della bella e illustre città toscana.

La battaglia e il santo

La magnificente cappella Corsini della Basilica di S. Maria del Carmine di Firenze ospita, tra le altre pregevoli opere d’arte, un altorilievo marmoreo di Giovan Battista Foggini che raffigura S. Andrea Corsini (1301 – 1374) che protegge i combattenti fiorentini nella battaglia di Anghiari, combattuta il 29 giugno 1440 tra le truppe milanesi del Visconti e i fiorentini a capo di una coalizione cui partecipavano anche veneziani e pontifici. La battaglia riportò la vittoria di Firenze e dei suoi alleati.

Secondo la tradizione, S. Andrea Corsini apparve nel cielo sopra Anghiari durante la battaglia ed è proprio questo episodio che la famiglia Corsini e il Foggini decidono di realizzare. La scultura rappresenta infatti il Santo che impugna una spada sulla destra e sulla sinistra il pastorale, mentre alcuni angeli gli sorreggono il mantello e la mitra. Il gruppo celeste sovrasta una moltitudine di combattenti sotto le mura di una città fortificata.

Una rappresentazione possente e suggestiva di un fatto d’arme che unisce una delle più illustri famiglie fiorentine alla storia della propria città.

Il trasvolatore

Nel centenario della fondazione dell’Arma Azzurra, a cui rivolgiamo i più fervidi voti augurali, ricordiamo una bella biografia scritta dallo storico Giorgio Rochat su una delle figure centrali della storia dell’Aeronautica militare italiana: Italo Balbo (1896 – 1940).

Si tratta del libro Italo Balbo, UTET, Torino, 1986 che ancora oggi può essere considerata un’ opera fondamentale su un personaggio che svolse un ruolo importante nella storia d’Italia nel periodo fascista oltre che nell’affermazione del prestigio dell’aviazione italiana nel mondo negli anni ’30 realizzando le celebri “crociere ” o “trasvolate” aeree.

Giorgio Rochat ripercorre con equilibrio critico la gioventù di Balbo, la sua opera di organizzatore del fascismo ferrarese, la partecipazione come Quadrumviro alla “Marcia su Roma” del 28 ottobre 1922 e, in seguito, l’approdo al ministero dell’Economia e poi all’Aeronautica, da dove inizia il salto definitivo nella storia d’Italia e dell’Aeronautica militare.

L’assistenza dello Spirito

Dal Generale Mario Ventrone riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo sull’organizzazione di assistenza spirituale ai soldati.

Gli eserciti hanno sempre riservato una particolare attenzione alla organizzazione spirituale dei soldati: senza andare troppo indietro nel tempo, tutti gli Stati italiani preunitari disponevano di cappellani militari inseriti nell’organizzazione castrense.

Per quanto riguarda in particolare l’Esercito Italiano, la crisi nei rapporti fra il Regno d’Italia e la Chiesa cattolica, susseguente alla presa di Roma nel 1870, determinò la quasi totale scomparsa dei cappellani e così nella guerra d’Eritrea del 1896 il servizio religioso ai militari italiani fu reso possibile solo grazie alla disponibilità volontaria dei padri Cappuccini; nella guerra di Libia del 1911 operarono alcuni sacerdoti diocesani.

Nell’aprile del 1915 il Generale Cadorna firmò una circolare per il ripristino dei cappellani militari; il 1° giugno dello stesso anno la Santa Sede segnalò monsignor Angelo Bartolomasi come responsabile del servizio, con il titolo di Vescovo di Campo e con le prerogative di Vescovo Ordinario; egli fu nominato Vicario Castrense e mantenne l’incarico fino allo scioglimento del servizio di assistenza spirituale, nel 1922.

Sulla scorta dell’esperienza maturata nel conflitto, l’Ordinariato Militare fu formalmente eretto dalla Sacra Congregazione Concistoriale nel 1925 e venne riconosciuto dallo Stato italiano l’anno successivo. Il riconoscimento fu confermato con il Concordato Lateranense del 1929 e nel 1936, con una apposita legge, furono definiti i compiti dei cappellani militari e ne fu disposta l’assimilazione alle gerarchie militari.

All’inizio della seconda guerra mondiale, tuttavia, molti reparti erano privi del servizio di assistenza spirituale; circostanza che mutò in breve tempo con la mobilitazione dei cappellani che parteciparono al conflitto su tutti i fronti.

Nel 1955 fu ammodernata la legge del 1936 e infine, nel 1961, furono definite le norme di stato giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale dell’assistenza spirituale alle Forze Armate dello Stato (le norme suddette sono ora comprese nel “Codice dell’ordinamento militare”).

La presenza dei cappellani nelle Forze Armate è stata confermata con il Concordato del 1984 dove è ribadito che “la Repubblica italiana assicura che l’appartenenza alle Forze Armate, alla Polizia, o ad altri servizi assimilati, la degenza in ospedali, case di cura o di assistenza pubbliche la permanenza negli istituti di prevenzione e pena non possono dar luogo ad alcun impedimento nell’esercizio della libertà religiosa e nell’adempimento delle pratiche di culto dei cattolici. L’assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle Autorità italiane competenti su designazione dell’Autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l’organico e le modalità stabilite d’intesa fra tali autorità”.

Sorella Ada

Lo scorso 22 novembre, all’età di 98 anni, è scomparsa a Bolzano la leggendaria “crocerossina” Sorella Ada Vita.

Entrata nel benemerito Corpo Infermiere Volontarie della Croce Rossa (Corpo ausiliario delle Forze Armate italiane) nel 1959, diventa Ispettrice del distaccamento bolzanino del Corpo nel 1968, restando in servizio per oltre 40 anni.

Tra le innumerevoli missioni di soccorso, nel 1982 partecipa, insieme ad altre 9 consorelle, alla spedizione militare italiana in Libano come infermiera dell’ospedale militare da campo: di questa esperienza ha lasciato un diario (oggi conservato presso la Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano -Arezzo) che rappresenta una preziosa e primaria fonte documentale di quell’importante evento della storia nazionale.

Il motto del Corpo Infermiere Volontarie, fondato nel 1908 e a cui è stata concessa nel 1985 la bandiera (oggi pluridecorata) è: “Ama, conforta, lavora e salva”: quale parole più belle?

La stirpe di combattenti

Nella storia militare italiana esiste una stirpe di combattenti: Giuseppe Garibaldi e i suoi prossimi diretti discendenti.

Alla morte dell’eroe dei due mondi infatti i suoi figli Ricciotti e Menotti e poi i nipoti Ricciotti jr, Sante, Costante, Peppino, Bruno e Ezio continuarono la sua opera di guerriero per la libertà combattendo, tra l’altro, nella Argonne nella Grande Guerra nelle file dell’Esercito francese.

Di quest’ultimi nipoti, Bruno e Costante morirono combattendo valorosamente sul campo in Francia mentre gli altri giovani Garibaldi, all’ ingresso in guerra dell’Italia contro gli imperi centrali il 24 maggio 1915, continuarono a combattere sul suolo patrio in particolare sul Col di Lana e la Marmolada.

Nella seconda guerra mondiale la tradizione garibaldina troverà la sua espressione non solo nella Divisione “Garibaldi” (formata da militari provenienti dalle disciolte Divisioni Venezia, Taurinense ed Emilia dell’Esercito italiano) che combatterà in Jugoslavia ma anche in Sante Garibaldi, membro della Resistenza francese, che morirà in conseguenza della sua detenzione nei Lager nazisti.