Per chi e con chi

Oggi, venendo meno ad una regola fino a qui di massima rispettata, i lettori di questo Blog leggeranno di me. La triste circostanza della scomparsa di un soldato e ufficiale da me profondamente ammirato mi offre l’occasione per l’eccezione.

Sono stato allievo della Scuola Militare “Nunziatella” di Napoli. In quegli anni, ufficiale d’inquadramento degli allievi era l’allora Tenente dei Bersaglieri Carlo Cisbani, scomparso recentemente: la notizia della sua morte, corsa in un baleno tra gli ex allievi della Scuola, mi ha profondamente commosso perché mi ha riportato alla mente una delle figure militari che più hanno inciso nella mia formazione in quegli anni giovanili.

Carlo Cisbani è sempre stato il mio (irraggiungibile) modello di militarità: ogni aggettivo connesso a questo sostantivo gli apparteneva.

Allora, data la giovane età, ne subivo il fascino senza, in fondo, domandarmi (o capire) il perché; ora ne conosco le ragioni: è stato quel modello di uomo e di soldato che avrei seguito fino alla fine per i valori che incarnava e praticava, primi fra tutti l’esempio e la giustizia alla base del comando.

Ora so per chi e con chi avrei combattuto.

Hurrà signor Tenente!

Il riformatore di ferro

Un protagonista militare della Germania del XIX secolo è stato il Generale Albrecht von Roon che insieme a Moltke e Bismarck (che sostituì brevemente come Ministro presidente della Prussia nel 1873) formano i tre pilastri della forza militare e politica tedesca dell’epoca, pilastri su cui si fonda la nascita dell’Impero tedesco e l’affermazione della Germania in Europa.

Nato da una famiglia di origine fiamminga in Pomerania nel 1803, Roon ebbe una brillante carriera nell’esercito prussiano che lo portò a divenire nel 1859 Ministro della Guerra prussiano. In tale veste, avviò (sostenuto dal Re, poi Imperatore, Guglielmo I e da Moltke) una profonda riforma dell’esercito ispirato dai principi riformatori di Scharnhorst nel senso di promuovere una “Nazione in armi” che si sostanziasse in una forte componente territoriale (Landwehr). Contrariamente a Scharnhorst però (che si ispirava al “cittadino soldato” frutto della rivoluzione francese), Roon mirava semplicemente ad un grande esercito, espressione esclusiva del potere del sovrano e a questo direttamente ricondotto, secondo il principio “il numero è potenza”. Indubbiamente le vittorie nelle guerre contro la Danimarca del 1864, austro – prussiana del 1866 e franco -tedesca del 1870 -71 devono molto all’opera riformatrice di von Roon che morì a Berlino nel 1879.

Per i suoi meriti l’imperatore Guglielmo II nel 1904 fece erigere a Berlino una statua di bronzo in suo onore a opera dello scultore Harro Magnussen: la statua è ancora oggi visibile (insieme a quella adiacente di Moltke) nelle immediate vicinanze della “Colonna della Vittoria” (Siegessäule) a Berlino.

Moda militare

Nella magnifica Armeria (nella cosiddetta Sala Verde che un tempo ospitava le guardie di Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano dal 1466 al 1476) del Castello Sforzesco di Milano, si possono ammirare splendide armature di epoca rinascimentale così come armi bianche e da fuoco del periodo XIV – XIX secolo.

Nel Cinquecento le armature iniziarono ad imitare le forme degli abiti civili diventando sempre più oggetti da indossare in occasione di cerimonie e parate: queste armature erano tanto più raffinate quanto più elevato era il rango di chi le indossava.

L’estetica ebbe la meglio sulla funzionalità: armature sbalzate, cesellate, dorate e argentate riflettevano anche nel mondo militare la moda e il gusto del tempo, aggiungendo così un alto valore ad un manufatto più artistico che bellico.

A riprova di quanto sopra, l’immagine d’apertura ritrae uno splendido “Corsaletto” con elmo, opera di un artista dal nome Maestro del Castello.

Ecco il futuro

Come previsto, il Ministero della Difesa ha presentato al Parlamento il Documento Programmatico Pluriennale (DPP) in riferimento al triennio 2022-2024. Il documento contiene il prospetto delle spese previste per il periodo in questione, in linea con la legge di Bilancio dell’anno 2022, e dei progetti a cui la Difesa sta lavorando e che porterà avanti negli anni futuri.

La guerra in Ucraina ha rappresentato un fattore decisivo per definire strategie e priorità della Difesa italiana, racchiuse nel DPP. Se da una parte il conflitto ha reso evidente la necessità dello sviluppo di uno strumento militare all’avanguardia in tutti e cinque i domini operativi, dall’altra ha enfatizzato la centralità della collaborazione dell’Italia sia a livello NATO che nell’ambito UE, anche tramite l’impegno italiano nelle missioni internazionali.

Per l’anno 2022, la dotazione complessiva per la Difesa ammonta a circa 26 miliardi di euro, pari all’1,38% del PIL (in leggero calo rispetto all’1,41% del 2021). La dotazione prevista per il 2023 e il 2024 non si discosta molto dalla somma prospettata per l’anno in corso, ma segna una riduzione del bilancio rispettivamente con circa 25,4 e 24,9 miliardi di euro.

Tra i fattori principali che hanno determinato la definizione della spesa per la Difesa per il triennio 2022-2024 rientrano, ad esempio, una rideterminazione delle spese indirizzate verso il personale (civile e militare) della Difesa, il rifinanziamento dell’Operazione “Strade Sicure”, e la creazione di un Fondo per il finanziamento di assetti destinati ad alta e altissima prontezza operativa.

Il documento sottolinea la necessità di un incremento del bilancio della Difesa, anche ma non soltanto al fine di raggiungere l’obiettivo del 2% del PIL destinato a questo settore: un obiettivo che la Direttiva per la politica Militare Nazionale del 2022 fissa entro il 2028 ma verso cui non si pianifica di progredire nel prossimo biennio.

In linea con la Direttiva, il documento individua quattro priorità strategiche per il triennio 2022-2024: promuovere un idoneo posizionamento dell’Italia nel contesto di sicurezza internazionale; incentivare l’attività dell’industria italiana degli armamenti e il suo collocamento rispetto al mercato europeo e internazionale; favorire la definizione di politiche per il personale della Difesa che faciliti lo sviluppo di competenze specifiche; assicurare al Paese uno strumento militare “sempre più moderno, sostenibile, tecnologicamente omogeneo, fortemente integrato”. Per facilitare il raggiungimento di quest’ultimo obiettivo, il DPP conferma l’intenzione della Difesa di istituire, entro il 2026, una Forza di Intervento nazionale in grado di operare in ogni dominio operativo.

Il processo di programmazione finanziaria si articola in quattro diverse funzioni: Funzione Sicurezza del Territorio, Funzioni Esterne, Pensioni Provvisorie del personale in ausiliaria, e Funzione Difesa. A quest’ultima, che comprende tutte le spese necessarie all’adempimento dei compiti istituzionali delle Forze Armate, sono dedicati approssimativamente 18 miliardi di euro.

Tale cifra è ripartita nei tre settori chiave di personale, esercizio e investimenti. Per l’anno 2022, si prevede una spesa di circa 10,6 miliardi di euro per il personale (58,6%), 2 miliardi di euro in esercizio (11,4%) e 5,4 miliardi di euro in investimenti (30%). Da questi dati si evince che, mentre la spesa per il personale è rimasta più o meno invariata rispetto al 2021 (con un aumento del solo 1,1%), si prevede un notevole aumento degli investimenti nella Difesa (+30% rispetto al 2021), che va a braccetto con un sensibile calo delle spese di esercizio (-9,4%). Un calo che sembra essere destinato a intensificarsi negli anni a venire, con circa 1,8 miliardi di euro di spese in esercizio previsti nel 2023 e 1,8 nel 2024.

Tra i programmi di previsto avvio, i maggiori investimenti si registrano tra Esercito e Marina. Una somma di circa 1,75 milioni di euro è indirizzata verso il rinnovamento della famiglia di sistemi d’arma della componente pesante per lo sviluppo di un nuovo sistema di combattimento per la fanteria. La Difesa considera questo programma vantaggioso alla creazione di opportunità di sviluppo del futuro Carro armato, che sostituisca Ariete entro il 2034, e le relative piattaforme derivate.

Con 170 programmi in corso e 46 di previsto avvio, la Difesa intende portare avanti 216 attività nel triennio 2022-2024. Tra quelli attualmente operanti, di particolare rilievo risulta il rifinanziamento di circa 1,75 milioni di euro del programma per la realizzazione di un caccia di sesta generazione – attività ritenuta di valore strategico per la Difesa, grazie alle possibilità offerte in ambito di cooperazione industriale dentro e fuori l’Unione europea.

La Marina vedrà invece lo sviluppo di nuove unità anfibie mirate al miglioramento della capacità di proiezione dal mare della Difesa, con un investimento previsto in circa 1,2 miliardi. Di rilievo inoltre l’ammodernamento dei sistemi di bordo degli elicotteri EH101,del valore di 1 miliardo.

Il conflitto russo-ucraino ha anche evidenziato l’integrazione nelle operazioni militari dei domini cibernetico e spaziale, insieme a quelli tradizionali terrestre, navale e aereo. Il DPP ribadisce la possibilità, per un Paese nemico o un gruppo non statale, di provocare gravi problemi alla rete cibernetica nazionale, e di condurre campagne di destabilizzazione e disinformazione mirate al condizionamento dell’opinione pubblica. La Difesa intende quindi dotarsi di capacità che le permettano di operare nell’intero spettro del cyber warfare, e che siano coerenti e interoperabili con i sistemi alleati. A tal fine, il DPP mette a disposizione circa 90 milioni di euro per attività nel settore cibernetico.

Oltre il triplo sarà invece dedicato al dominio dello spazio, dal significativo valore strategico, e strettamente connesso al tema della minaccia missilistica. Dal DPP si coglie infatti un avvertimento riguardo tecnologie ipersoniche, ritenute in grado di influenzare considerevolmente la stabilità internazionale. Obiettivo della Difesa comprende quindi il potenziamento delle proprie capacità di accesso e condotta di operazioni spaziali per garantire adeguata protezione agli assetti nazionali.

Questo è dunque il futuro che attende la nostra Difesa!

Un grande italiano

È morto ieri 13 agosto all’età di 93 anni Piero Angela, uno degli italiani che hanno fatto grande e migliore il nostro Paese.

Non so se e quando Angela sia stato militare nella sua vita ma so che il valore che ha dimostrato nella sua preziosa opera a favore della cultura lo rende degno, ai miei occhi, della più alta considerazione e più profonda gratitudine che si devono a chi serve la comunità come appunto i soldati e, in genere, i servitori dello Stato. Non a caso, il Presidente Mattarella lo ha insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’ Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel maggio 2021.

Certamente Piero Angela ha dato anche un grosso contributo alla diffusione della storia (anche militare) attraverso la rubrica storica, curata dall’ottimo Prof. Alessandro Barbero, all’interno del magnifico programma televisivo “Superquark”.

A perenne ricordo e futura memoria, trascrivo la sua ultima lettera pubblica affinché noi tutti nel leggerla possiamo sempre ritrovare la sua voce, il suo insegnamento e la sua esortazione a fare ciascuno la propria parte per “questo nostro difficile Paese”.

“Cari amici, mi spiace non essere più con voi dopo 70 anni assieme. Ma anche la natura ha i suoi ritmi. Sono stati anni per me molto stimolanti che mi hanno portato a conoscere il mondo e la natura umana.
Soprattutto ho avuto la fortuna di conoscere gente che mi ha aiutato a realizzare quello che ogni uomo vorrebbe scoprire. Grazie alla scienza e a un metodo che permette di affrontare i problemi in modo razionale ma al tempo stesso umano.
Malgrado una lunga malattia sono riuscito a portare a termine tutte le mie trasmissioni e i miei progetti (persino una piccola soddisfazione: un disco di jazz al pianoforte…). Ma anche, sedici puntate dedicate alla scuola sui problemi dell’ambiente e dell’energia.
È stata un’avventura straordinaria, vissuta intensamente e resa possibile grazie alla collaborazione di un grande gruppo di autori, collaboratori, tecnici e scienziati.
A mia volta, ho cercato di raccontare quello che ho imparato.
Carissimi tutti, penso di aver fatto la mia parte. Cercate di fare anche voi la vostra per questo nostro difficile Paese.
Un grande abbraccio,
Piero Angela”

Il primo esercito di cittadini

In epoca micenea gli eserciti erano costituiti dagli aristocratici. I combattimenti venivano svolti da nobili guerrieri equipaggiati con armature costose, che scendevano sul campo di battaglia sui carri e combattevano in ordine sparso. I guerrieri nobili erano seguiti da una massa di soldati il cui ruolo era assai limitato.

È a partire dal VIII secolo a.C. che si verificò una rivoluzione militare nell’antica Grecia. Questa avvenne in contemporanea con la nascita del concetto politico della Polis e con la conseguente trasposizione sul campo di battaglia dei valori civici alla base delle nuove istituzioni democratiche, confermando così che la Strategia segue sempre la Politica.

Nacque dunque l’esercito greco composto dall’oplita, fante armato pesantemente, che combatteva in una formazione compatta, la falange, in cui ognuno era difeso dallo scudo (Oplon) del proprio vicino. Gli opliti erano affiancati dai peltasti, armati alla leggera, e dai cavalieri, impiegati per l’esplorazione e l’inseguimento del nemico.

Il reclutamento dell’esercito variava dall’ordinamento delle diverse Poleis greche: di massima, tutti i cittadini erano tenuti a difendere le istituzioni cittadine e, in caso di guerra, erano chiamati alle armi anche i liberi non cittadini. Gli opliti e i cavalieri, che provvedevano in proprio all’armamento e all’equipaggiamento, erano arruolati tra i cittadini di censo superiore mentre quelli di censo inferiore erano arruolati nella fanteria leggera, armata ed equipaggiata dallo Stato.

Per la libertà altrui

San Michele a Torri è una bella località in collina vicino a Scandicci (Firenze).

Il 4 agosto 1944 soldati maori del 28° Battaglione neozelandese (inquadrato nell’8^ Armata britannica) sfondarono, dopo estenuanti e feroci combattimenti, le linee tedesche, liberando così Scandicci ed avvicinandosi sempre più a Firenze che venne poi liberata l’11 agosto.

Nella battaglia i neozelandesi ebbero ben 243 caduti che oggi riposano nel Cimitero militare del Commonwealth di Firenze insieme ad altri 1394 caduti (di cui 18 ignoti): soldati venuti dall’altra parte del mondo a morire per la libertà altrui.

Il loro nome vive per sempre.

Testimoni del tempo

Dal Col. Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo bel Post sulla storia dei Martiri di Otranto che merita di essere conosciuta.

La storia, quando viene raccontata per episodi, sembra un concatenamento di casi fortuiti. Ma se si considerasse la storia totale, nella maniera piu’ ampia possibile, si potrebbe tentare di trovare la sua legge. Non ci si limiterebbe a narrarla: la si potrebbe dedurre. Questo principio vale, ovviamente, per le analisi e le valutazioni di tutti gli eventi, anche quelli contemporanei.

Che cosa si potrebbe dedurre se si considerasse che Maometto II aveva conquistato Costantinopoli nel 1453 (si veda https://storiaesoldati.wordpress.com/2022/05/28/la-regina-delle-artiglierie/) , a 21 anni, e da quel giorno si era dato anche il titolo “Qayser-i Rum” (Cesare di Roma) e già nel 1454 l’Ambasciatore veneziano Niccolò Sagundino aveva riferito al re di Napoli, Alfonso “il Magnanimo”, le intenzioni di Maometto II di conquistare l’Italia ,e Roma in particolare, e che dal 1475 il grido di guerra delle truppe ottomane è “Rum! Rum!” (Roma! Roma!)?

Ricordiamo ancora che gli Ottomani continuavano ad espandersi e occupare gran parte dei Balcani. Nel 1478, superate le resistenze dei discendenti di Scanderbeg (si veda https://storiaesoldati.wordpress.com/2022/01/11/il-difensore-impavido/) , occupano l’intera Albania.

Intanto la Repubblica Veneziana, aveva lentamente perso il vasto impero marittimo senza ricevere sostegno dalla monarchie d’Italia o d’Europa. Tuttavia voleva continuare a commerciare e quindi era disposta a scendere a patti con gli Ottomani che addirittura le proponevano di fornire supporto militare per l’occupazione di parte del Sud Italia.

Papa Pio II, impossibilitato a promuovere una crociata, pensava di convincere Maometto II a farsi battezzare. Intanto gli Ottomani firmavano la pace con la Valacchia e la Moldavia per potersi focalizzare verso l’Italia.

Ma soprattutto le rivalità e invidie nella penisola erano ben note al sultano e la Congiura dei Pazzi, 26 aprile 1478, portava a contrapposizioni durevoli in Italia.

Infine nel 1479 circolavano insistentemente voci dell’ammassamento di forze e navi in Albania.

L’Albania è il punto più vicino all’Italia e il mare Adriatico, sebbene possa rappresentare un ostacolo naturale, è allo stesso tempo una via veloce e facile per approdare in Italia.

Cosa puo’ fare a questo punto Maometto II, che intanto si e’ aggiunto l’appellativo di “Fatih” (il “Conquistatore”)?

Attraversare l’Adriatico e iniziare la conquista dell’Italia.

Infatti, il 28 luglio del 1480 15.000 Ottomani guidati da  Ahmet Pascià, Sangiacco (governatore) del distretto di Valona, già gran visir e gia’ comandante delle forze ottomane di terra e di mare, sbarcavano, da 130 navi, a Nord di Otranto in quella che prenderà il nome di Baia dei Turchi.

Trasportavano anche cavalli, artiglierie e munizioni. C’erano pure i Giannizzeri, l’elite dell’esercito turco, e i Sipahi, la cavalleria pesante ottomana.

Iniziava il breve assedio della citta’ di Otranto, difesa dal Capitano Francesco Zurlo con pochi uomini e armi.

Iniziando con l’uccisione dell’ambasciatore ottomano e di prigionieri impalati, i combattimenti e la presa della citta furono caratterizzati da reciproche atrocita’ che raggiungono la massima crudelta’ l’11 agosto, con la strage in cattedrale del vescovo Stefano Pendinelli e di tutti i civili che li si erano rifugiati, e ancora il 14 agosto, sul Colle della Minerva con la decapitazione di oltre 800 Idruntini.

Malgrado l’occupazione della citta’ e le orribili violenze e profanazioni, probabilmente per attuare un terrorismo psicologico finalizzato a facilitare la resa di altre citta’, questo forte segnale espansionistico degli Ottomani non rappresenta un campanello di allarme per gli stati della Penisola.

Unicamente la morte del sultano, nel settembre del 1481, e i connessi problemi di successione al trono costringera’ la guarnigione Ottomana, che era stata fiaccata solo dalla peste, ad abbandonare l’Italia senza essere mai stata sconfitta.

Solo grazie a questa “divina provvidenza” Roma e l’Italia evitano di diventare un distretto del gia’ enorme Impero Ottomano. Otranto restera’ la conquista piu’ ad occidente realizzata da truppe Ottomane.

Gli Ottomani cambieranno il focus verso l’Ungheria, la Persia e l’Egitto diventando sempre più potenti nel Mediterraneo Orientale

Oggi le ossa degli 800 martiri Idruntini, poveri cristiani massacrati e vittime di interessi di altri, sono esposte presso la Cappella dei Martiri realizzata all’interno della Cattedrale di Santa Maria Annunziata di Otranto. Nel 2013 gli 800 martiri sono stati canonizzati da Papa Francesco.

La disperata odissea

La fausta ricorrenza oggi del 80° compleanno del grande attore Giancarlo Giannini riporta alla mente un film in cui egli interpreta, caso unico nella storia del cinema, un ufficiale di Amministrazione dell’Esercito: “Tempo di uccidere” del regista Giuliano Montaldo uscito nelle sale italiane nel 1989.

Interpretato magistralmente insieme a Nicolas Cage e Ricky Tognazzi, il film (con le musiche di Ennio Morricone) è tratto dall’omonimo romanzo di Ennio Flaiano ed è ambientato nella guerra italo-etiopica del 1935 – 1936 a cui l’autore partecipò come ufficiale del Regio Esercito.

Unico romanzo di Flaiano, scritto in stile esistenzialista a tratti onirico- surrealista, venne insignito del prestigioso premio Strega nel 1947 e narra le vicende di un giovane Tenente convinto (erroneamente) di aver contratto la lebbra da una ragazza indigena che aveva ucciso involontariamente dopo una notte d’amore: questa convinzione lo porterà a vivere una personale e disperata odissea con risvolti inattesi per lui e per i suoi compagni d’armi.

È un’intensa storia individuale nel grande affresco della tragica guerra coloniale italiana contro l’Etiopia, uno dei pochi Paesi indipendenti dell’Africa del tempo, che offre una prospettiva originale che va oltre la narrativa epica dell’evento storico.

Il soldato italiano sognava un’Africa convenzionale, con alti palmizi,banane, donne che danzano (…) invece trova una terra uguale alla sua, più ingrata anzi…” ENNIO FLAIANO