Impegno per la libertà

L’Ucraina, notizia dell’ultima ora da confermare, potrebbe accettare la neutralità richiesta dalla Russia se la sua sicurezza fosse garantita da alcuni Paesi tra cui l’Italia.

Penso con orgoglio che l’Italia non si tirerà indietro qualora questa sua garanzia fosse necessaria e utile per un immediato cessato il fuoco, il ritiro delle truppe russe e dunque il ristabilimento della pace e dell’equilibrio strategico europeo nonché il ritorno alle proprie case di milioni di profughi.

Però garantire la sicurezza dell’Ucraina sarebbe un impegno assai importante a cui il nostro Paese dovrebbe far fronte seriamente: Lo farà? Senz’altro, se tutto il Paese lo vorrà.

Per volerlo non basta la decisione governativa o parlamentare ma occorre l’adesione convinta a questo impegno dell’opinione pubblica, pronta, come estrema ratio, ad inviare probabilmente truppe italiane in Ucraina per garantirne la libertà e sicurezza in caso di violazione dei patti sottoscritti.

Torna ancora utile e opportuno, in questa occasione, l’esempio di Giuseppe Garibaldi e delle legioni garibaldine che della libertà del nostro popolo, come di altri popoli, fecero il proprio vessillo: la buona volontà e l’impegno dell’Italia si vedranno anche da come verranno riscoperti dagli italiani, attraverso la conoscenza della nostra Storia, i valori morali che ci fecero un unico e libero popolo che potrebbe in futuro garantire l’unità e la libertà altrui.

Raccontare la Storia

E’ uscito recentemente un nuovo libro del Generale Paolo Mearini – “Base Condor a Chatila – 1982- 1984. Storie di soldati italiani dal Libano in guerra”, Betti Editrice, Siena, ottobre 2021 – che ho seguito passo, passo durante la fase di stesura.

Lo segnalo quindi a ragion veduta in questo momento di acuito interesse per le implicazioni militari della geopolitica, quando è in pieno svolgimento il dramma dell’invasione russa dell’Ucraina. Nell’estate di quaranta anni fa, in Libano un’invasione israeliana era giunta fino a Beirut. Se la resistenza armata dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (l’OLP di Arafat) era stata debellata, restavano insanate e insanabili le tensioni dell’annosa lotta politica fra le comunità confessionali libanesi che si scaricavano in scontri armati fra le milizie ed atrocità contro la popolazione. Un massacro di palestinesi nel campo profughi di Chatila, che provocò migliaia di vittime innocenti, fu l’occasione per l’invio di una consistente forza multinazionale di pacificazione. Accanto agli americani ed ai francesi c’erano per la prima volta dalla costituzione della Repubblica gli italiani. La missione durò diciasette mesi. L’autore ne fu l’amministratore a stretto contatto col comandante del contingente, il generale Franco Angioni. Una sequenza di episodi racconta in modo semplice, diretto, emozionale, coinvolgente e talvolta anche divertente la storia del contingente; descrive cosa trovarono e come se la cavarono i nostri soldati vivendo fra i campi dei profughi palestinesi e le sterminate baraccopoli del sottoproletariato sciita in uno scenario miserabile, alieno, incombente di minacce.

I nostri militari si comportarono bene e ne uscirono a testa alta, ma sotto i profili politici e militari i risultati furono inferiori alle aspettative. La missione internazionale, non per sua colpa, o almeno non per colpa degli italiani lasciò sul terreno la stessa situazione, se non peggiore, di quella che aveva trovato arrivando. Il contingente italiano non subì attacchi con perdite tanto gravi come quelle degli americani e dei francesi. La spiegazione accolta dall’ufficialità fu che il contingente italiano si era integrato meglio con la popolazione locale. Mi piacerebbe, come ritengo piacerebbe agli studiosi degli aspetti militari della geopolitica, approfondire tale tematica in una storia che potrebbe “mutatis mutandis” addirittura richiamarsi al precedente intervento dei bersaglieri di Lamarmora in Crimea che accrebbe il peso internazionale del Piemonte e favorì, in prospettiva, l’unificazione italiana.

Un libro di cui consiglio assolutamente la lettura!

Un giudizio condivisibile

Il Generale Paolo Supino (1893 -1973) è stato uno dei più importanti studiosi militari italiani del XX secolo. La “Rivista Militare” lo ricorda nel suo ultimo numero (1/2022) con un interessante fascicolo allegato che invito tutti a leggere (peraltro impreziosito con una toccante ed esclusiva intervista alla figlia Laura). La storia dell’Esercito è ricca di uomini straordinari che meritano di essere conosciuti e/o rammentati: Paolo Supino è uno di questi. Da una sua opera traggo questo giudizio sull’Esercito italiano (soprattutto implicitamente dei suoi soldati) che ritengo assolutamente fondato dal punto di vista storico e dunque del tutto condivisibile da parte mia.

/…/E ora di dire alto che l’ Esercito italiano ha fatto sempre e dovunque il suo dovere e che furono circostanze tecniche quelle che lo piegarono in un’ora oscura (Armistizio 8 settembre 1943 n.d.r.) che comunque giunse dopo che esso aveva tenuto testa sino ed oltre i limiti delle possibilità umane, in una lotta impari e che avrebbe messo a terra molto prima eserciti di più antiche tradizioni di onore e di gloria.
Le crisi degli eserciti, e l’ Esercito italiano non ha fatta eccezione, sono state sempre crisi di capi e crisi di comando./…/

Generale Paolo Supino Problemi dell’Esercito Roma 1954 pag.6

La regola del militare

La condizione militare deriva da una disponibilità illimitata al servizio che è necessaria premessa di affidabilità; origina dalla subordinazione degli interessi personali a quelli dell’organizzazione militare per contribuire all’ottimale funzionamento di quest’ultima, dalla lealtà all’Istituzione militare ed agli scopi da questa perseguita coerentemente alla Costituzione e alle leggi; è concretizzata dalla coscienza di servire sempre la comunità; è garantita dall’imparzialità dei militari che si fonda sulla loro estraneità alle lotte politiche e sociali, fedeli solo al giuramento prestato verso lo Stato fondato sui principi democratici, garantiti dalle libere Istituzioni previste dal nostro ordinamento costituzionale.
La militarità è, in ultima analisi, una REGOLA spirituale, chiara e vincolante per tutti, che deve essere intimamente accettata dai militari perché ne rappresenta l’atipicità, la peculiarità e la distinzione. Solo la quotidiana pratica della REGOLA ci rende degni del sacrificio di chi ci ha preceduto, del patto di fiducia instaurato con i cittadini, delle speranze che il Paese ripone nei propri soldati.

Bugie strategiche

Dal Col. Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo sulla propaganda di guerra.

Si sa che le parole sono importanti.

Queste hanno la capacità di generare emozioni, influire sul morale e condizionare i comportamenti.

Sono importanti nella vita quotidiana di ogni singolo individuo e forse ancora di più nello sforzo di condizionare, orientare e soprattutto influenzare la folla o l’opinione pubblica.

E’ in quest’ottica che va vista la propaganda che ognuna delle parti promuove durante una guerra. Essa inizia ancor prima della guerra nel tentativo di convincere delle legittime ragioni ad iniziare la guerra (Jus ad bellum) e continua durante tutto il confronto. Sia per ottenere quanto già detto ma anche per raccontare che solo da una parte è condotta nel rispetto delle regole (Jus in bello).

Pertanto, senza entrare nel merito di quanto viene raccontato da entrambe le parti nel corso dello scontro in atto tra Russia e Ucraina, leggiamo cosa scrive Winston Churchill ne “La seconda guerra mondiale”.

“[…] Serenamente, conoscendo ora tutto ciò che si viene a sapere alla fine di un conflitto, possiamo studiare le perdite effettive subite dalle Aviazioni britannica e germanica in quella che può giustamente considerarsi una delle battaglie decisive del mondo (ndr. La Battaglia di Londra, 1940). Dal prospetto sotto riportato, le nostre speranze e i nostri timori possono essere messi a confronto con ciò che avvenne nella realtà.

Non v’ha dubbio che noi siamo stati eccessivamente ottimisti nel calcolare le spoglie nemiche. In definitiva noi avemmo perdite, nei riguardi degli aggressori germanici, da uno a due anzi che da uno a tre, come avevamo creduto e dichiarato. […]”

Quindi prima e durante uno scontro bellico bisogna sempre ricordare che quasi sicuramente quanto riferito è manipolato dalla propaganda. In realtà anche dopo la fine del confronto è opportuno nutrire dubbi. Basti pensare che solo nel 1990 l’Unione Sovietica ammise che Stalin aveva ordinato il Massacro di ufficiali polacchi a Katyn.

Una possibilità di vittoria

Combattere per la libertà e la democrazia, valori fondanti del singolo e della società, non basta per assicurarsi la vittoria in caso di conflitto.

Vi è infatti necessità di uno strumento che permetta questo combattimento e tale strumento è l’istituzione militare che purtroppo non nasce dall’oggi al domani ma deve essere pensata, realizzata e curata ogni giorno e non solo in caso di bisogno.

Dietro questa semplice e nota affermazione si nasconde in realtà una complessità politica, strategica, tattica, organica, logistica, tecnologica e molto altro ancora.

Però partiamo dal cuore dell’istituzione militare: il soldato.

Di cosa ha necessariamente e principalmente bisogno chi combatte? Del morale (che Clausewitz chiamava Geist-spirito) che gli deriva da ufficiali competenti e credibili, dallo spirito di corpo, da un equipaggiamento e addestramento adeguati, dalla disciplina necessaria alla coesione e all’azione, dal supporto di coloro per cui si combatte e che ne riconoscano sempre il sacrificio attraverso una memoria attiva e condivisa.

Ne abbiamo già scritto su questo Blog ma ripetiamolo per sperare sempre più nella possibilità di vittoria che è l’unico vero premio per chi combatte.

Prospettive dal Sahel

Il Blog Storia&Soldati ha un nuovo collaboratore: il Ten. Col. Francesco Puzone, ufficiale di vasta esperienza internazionale attualmente impiegato in Mauritania nell’ambito del G5 Sahel. Dal Ten. Col. Puzone riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo sulla struttura e funzionamento del G5 Sahel.

Nel Sahel, cuore dell’ Africa nord occidentale, alcuni paesi (Mauritania, Burkina Fasu, Mali, Ciad e Niger) hanno concordato un’iniziativa comune e fondato un’organizzazione permanente economica, politica e militare denominata G5- Sahel (G5-S),  per favorire le condizioni di una pace stabile e lo sviluppo socio-economico nella regione. L’organizzazione operante dal 2014 é dotata di una Task-Force denominata Forza Congiunta FC G5 SAHEL; si tratta di una “Joint Combined Force” di 5000 uomini articolata su 8 battaglioni e distribuita su tre “zone” (Ovest, Centro ed Est) della regione saheliana lungo strisce di 50 km su entrambi i lati dei confini comuni; ha capacità prevalentemente terrestre con il compito di assicurare un controllo effettivo e permanente dello spazio comune e contrastare la minaccia delle bande criminali e terroristiche. Le operazioni su ciascuna zona sono condotte e pianificate da un Posto Comando di zona (PC):  PC-Ovest, temporaneamente situato a Néma (è in costruzione a N’Bekeit Lahouach (Mauritania);il PC-Centro situato a Niamey (Niger); il PC-Est situato a N’Djamena e da trasferire a Wour (Ciad). I tre PC di zona dipendono da un Posto Comando del teatro congiunto (PCIAT), il quartier generale, con sede a Bamako. Il mandato operativo della Forza Congiunta  è di un anno, con il personale che si avvicenda di anno in anno; a novembre del 2021 è stato effettuato  il passaggio di consegne (HoTo- Hand over Take over) tra il 4° ed il 5° mandato. A premessa del “deployment”,  il personale chiave dei Posti Comando di Btg., di Zona e del PCIAT  viene sottoposto ad un periodo di formazione di 6 settimane, sotto la guida e la responsabilità di EUTM (European Union Training Mission in Mali). L’attività di formazione si svolge presso le sedi di Bamako o di Nouakchott (Mauritania); lo scorso mese di settembre 2021 la formazione del 5° mandato si è svolta a Nouakchot presso il CDG5- S (Collège de Défense G5-Sahel), conclusasi con lo svolgimento di una mini CAX- CPX (Computer Assistence Exercise-Command Post) per verificare  le principali capacità funzionali dei Posti Comando. Le attività della Forza Congiunta sono svolte in coordinamento con le iniziative internazionali di stabilizzazione per il mantenimento della pace quali la Missione Multidimensionale Integrata delle Nazioni Unite (MINUSMA) dell ONU  per sostenere il processo politico di transizione e aiutare la stabilizzazione del Mali, l‘operazione BARKHANE della Francia  per riconquistare il nord del Mali caduto nelle mani dei jihadisti durante la primavera del 2012 , la Task Force Takuba dispositivo di Forze Speciali di alcuni stati dell’ Unione Europea ( Germania, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Norvegia, Olanda, Portogallo, Republica Ceca, Regno Unito, Svezia) per la stabilizzazione ed il contrasto al terrorismo della regione subsahariana e i team di monitoraggo e mentoring dell’ Unione Europea quali  EUCAP (European Union Capacity Building Mission in Mali) e EUTM (European Union Training Mission in Mali).  

Ancora lui

Il 20 ottobre 1860 Giuseppe Garibaldi rivolse alle Potenze europee dalla Reggia di Caserta un Memorandum che è bene rileggere in questo tempo segnato dalla tragedia ucraina. Con questo scritto, Garibaldi ci offre importanti e profondi elementi di riflessione… lui ci parla ancora! Tocca a noi leggerlo e, possibilmente, praticarne il pensiero.

…… Uno può chiedersi: perché questo stato agitato e violento dell’Europa? Tutti parlano di civiltà e di progresso ? A me sembra invece, che eccettuandone il lusso, noi non differiamo molto dai tempi primitivi, quando gli uomini si sbranavano fra loro per strapparsi una preda. Noi passiamo la nostra vita a minacciarci continuamente e reciprocamente, mentre che in Europa la grande maggioranza, non solo delle intelligenze, ma degli uomini di buon senso, comprende perfettamente che potremmo pur passare la povera nostra vita senza questo perpetuo stato di minaccia e di ostilità degli uni contro gli altri, e senza questa necessità, che sembra fatalmente imposta ai popoli da qualche nemico segreto ed invisibile dell’umanità, di ucciderci con tanta scienza e raffinatezza.
Per esempio, supponiamo una cosa:
Supponiamo che l’Europa formasse un solo stato.
Chi mai penserebbe a disturbarlo in casa sua, chi mai si avviserebbe, io ve lo domando, turbare il riposo di questo sovrano del mondo?
Ed in tale supposizione, non più eserciti, non più flotte, e gli immensi capitali strappati quasi sempre ai bisogni ed alla miseria dei popoli per essere prodigati in servizio di sterminio, convertiti invece a vantaggio del popolo in uno sviluppo colossale dell’industria, nel miglioramento delle strade, nella costruzione dei ponti, nello scavamento dei canali, nella fondazione di stabilimenti pubblici, e nell’erezione delle scuole che torrebbero alla miseria ed alla ignoranza tante povere creature che in tutti i paesi del mondo, qualunque sia il loro grado di civiltà, sono condannati all’egoismo del calcolo, e della cattiva amministrazione delle cassi privilegiate e potenti, all’abbrutimento, alla prostituzione dell’anima e della materia……..” 

Ricordi di viaggio

Nel marzo 2005 chi scrive fece un viaggio di lavoro in Ucraina. Tra le tappe della memorabile visita, vi fu l’Accademia (oggi Università) della Difesa Nazionale Ucraina Ivan Chernyakhovsky a Kiev.

L’impressione era austera ma solenne, nel grande edificio di epoca zarista si respirava la storia delle epoche passate frammista all’effervescenza dei tempi nuovi in Ucraina.

In questi giorni tristi, mi tornavano in mente i volti delle persone incontrate di cui purtroppo non ricordo più il nome ma che ho ben presente nella loro dignità e orgoglio. Staranno combattendo? Penso proprio di sì.

Penso anche al più giovane Generale dell’Armata Rossa Ivan Chernayakhovsky (1907 -1945), caduto a Königsberg (Prussia orientale) pochi giorni prima della fine della seconda guerra mondiale, alla memoria del quale è intitolata l’Università della Difesa Nazionale Ucraina. Chernayakhovsky era ucraino e combatté la “Grande Guerra Patriottica” contro l’aggressore e invasore nazista fino a ricacciarlo da dove era venuto: un vero e valido esempio ancora oggi.

Guerra e amministrazione militare

Dal nostro collaboratore Colonnello Cesare Tapinetto riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo sul rapporto guerra-amministrazione militare così come visto dal grande patriota e studioso (ahimé sconosciuto ai più) Carlo De Cristoforis (1824-1859) che ci onoriamo di ricordare su questo Blog.

Nel 1860 Carlo de Cristoforis, nella sua opera pubblicata postuma Cosa sia la guerra, ben individua la stretta interrelazione esistente tra amministrazione militare ed operazioni di guerra, fattore che nessun Comandante dovrebbe mai trascurare
“… la mobilità estrema che devono possedere gli eserciti moderni in conseguenza del principio delle masse, importò anche che non potessero più recar con sé ciò di cui nulla ostante abbisognano, come potevano gli eserciti antichi.
Si dovette quindi modificare totalmente il sistema di sussistenze, di approvvigionamenti, di trasporti, – in una parola si dovette riedificare il sistema d’Amministrazione…Nessuno è più ora buon generale che non sia buon amministratore. L’Amministrazione militare comprende non solo quanto concerne la contabilità, ma quanto ancora concerne i rapporti fra la contabilità e le operazioni di guerra: comprende adunque le nozioni di Intendenza e di base e linea d’operazioni …Più e larga la base e più l’Esercito è mobile, per la ragione che può scegliere tra diverse linee d’operazione e può cangiarla a mezzo della campagna… Allora un convoglio di munizione distrutto può valere il silenzio di una batteria nella battaglia del giorno dopo; ed un convoglio di grano impedito, lo sperdimento di un battaglione…”.

Carlo DE CRISTOFORIS, Cosa sia la guerra, opera postuma a cura di G. Gutierrez, ditta Boniardi-Pogliani di E. Besozzi, Milano, 1860, pp. 65-73.