Una lunga storia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo del Generale Vincenzo Stella sulla difesa europea.

Sono state fatte molte dichiarazioni sulla difesa comune europea, spesso confondendola con l’attività di acquisizione in comune di armamenti ed equipaggiamenti, forse nel tentativo di provare ad avviare e semplificare una materia molto complicata.

Allora può risultare interessante ricordare come si è sviluppata e conclusa la prima vera idea di una difesa europea collettiva, avviata subito dopo il termine della seconda Guerra Mondiale.

Il 4 marzo del 1947 Francia e Regno Unito firmarono un Trattato di “Alleanza e Mutua Assistenza” teso a rinforzare la cooperazione al fine di resistere ad una eventuale futura aggressione della Germania.

L’anno successivo, nel marzo 1948, la firma del Trattato di Bruxelles vide l’estensione di questo sforzo iniziale a tre altri paesi: Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. In questo caso i firmatari espressero il loro scopo in maniera più chiara in quanto dichiararono anche lo scopo di difesa collettiva.

Questi primi tentativi verso la cooperazione europea in materia di difesa vennero superati da un progetto molto più ambizioso. Nell’estate del 1950, Jean Monnet, espresse la volontà di organizzare la difesa europea su base sovranazionale, ispirandosi al piano del ministro degli Esteri francese Robert Schuman per la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio ( CECA) che sarebbe poi entrata in vigore nel 1952.

La proposta, chiamata Comunità Europea di Difesa (CED), fu presentata dal primo ministro francese René Pleven all’Assemblea Nazionale nell’ottobre 1950. Essa richiedeva la creazione di un esercito europeo posto sotto un’autorità sovranazionale e finanziato da un bilancio comune.

Era previsto l’avvio di un programma europeo in materia di armamenti che sarebbe stato gestito dal Ministro della Difesa europeo, che a sua volta avrebbe operato sotto l’egida di un Consiglio di Difesa europeo.

Il piano Pleven prevedeva l’integrazione di Francia, Germania Ovest, Italia e Benelux nella CED, e ricevette anche il sostegno anche del Regno Unito e degli Stati Uniti dopo che fu prevista l’introduzione di Unità tedesche nel futuro esercito europeo. Il trattato CED fu firmato nel maggio 1952 da Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Anche Eisenhower, allora Comandante Supremo Alleato in Europa della NATO (SACEUR), sostenne il progetto della CED quale maniera efficace per massimizzare il potenziale militare europeo.

Ma, nell’agosto del 1954, l’Assemblea nazionale francese respinse il Trattato, rifiutandosi perfino di discuterne, annullando qualsiasi speranza di realizzare la Comunità Europea di Difesa.

A questo punto l’integrazione europea nel settore della difesa poteva avvenire soltanto nell’ambito della NATO. Infatti, il 9 maggio 1955, il Consiglio del Nord Atlantico approvò formalmente l’adesione della Repubblica Federale di Germania all’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico, risolvendo la questione del riarmo della Germania nel contesto Guerra Fredda. Ciò consentiva di poter contare anche sulle risorse umane e materiali tedesche per incrementare le forze convenzionali necessarie per resistere a una possibile invasione sovietica

Tuttavia l’URSS, come reazione al riarmo della Repubblica Federale tedesca e al suo ingresso nella NATO, pochi giorni dopo, il 15 maggio 1955, replicò con la creazione del Patto di Varsavia.

A questo punto, è interessante riportare l’affermazione fatta da Charles de Gaulle, prima della sua elezione a Presidente della Repubblica nel 1958, durante un incontro con Indro Montanelli e l’Ambasciatore Quaroni :«Signori, la Francia, per diventare la Francia, ha speso sei secoli di Storia e di sangue, e sessanta Re. E ora dovrebbe contentarsi di ridiventare un pezzo d’Europa, e basta?».

 

Il leone di Finlandia

Dal Colonnello Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo relativo al Maresciallo Carl Gustaf Emil Mannerheim, figura di prima grandezza nella storia della Finlandia.

Il Maresciallo Carl Gustaf Emil Mannerheim, nato nel 1867 nel Granducato di Finlandia (a quel tempo parte dell’Impero Russo) è una rara figura di stratega militare e statista. Mannerheim ha avuto un ruolo fondamentale nell’ottenere e preservare l’indipendenza della Finlandia nei momenti più tumultuosi del secolo scorso.

Allo scoppio della rivoluzione russa, si presentava, per la Finlandia, l’occasione per dichiarare, il 6 dicembre 1917, l’indipendenza dall’Impero Russo. Tuttavia anche in Finlandia, nel 1918, scoppiò la guerra civile tra i “Rossi”, i socialisti, e i “Bianchi”, gli anti-socialisti. Mannerheim, nominato comandante in capo dell’Armata Bianca, riuscì ad unificare fazioni disparate, dimostrò intelligenza strategica e attuò efficaci tattiche militari che portarono alla vittoria dell’Armata Bianca, realizzando l’indipendenza della Finlandia.

Nel novembre del 1939 la Finlandia si trovò nuovamente ad affrontare sfide eccezionali. Sebbene avesse dichiarato la sua neutralità dovette subire l’invasione dell’Unione Sovietica (cambiano i nomi ma la sostanza è sempre la stessa!) – la Guerra d’Inverno – la quale reclamava alcuni territori. Nonostante l’inferiorità numerica e di armamenti, Mannerheim, nominato, a 72 anni, Comandante in Capo della Forze di Difesa Finlandesi, implementò una strategia difensiva che sfruttando il terreno accidentato della Finlandia utilizzava tattiche di guerriglia e restò sempre attento a salvaguardare la vita dei suoi soldati, evitando di fargli correre rischi inutili.  La “Linea Mannerheim”, una serie di posizioni difensive fortificate, divenne il simbolo della resistenza finlandese. Solo dopo la sconfitta della Polonia l’Unione Sovietica riuscì a spostare altre numerose truppe per rinforzare la superiorità numerica e avere la meglio sulle forse finlandesi, a cui era mancato il richiesto aiuto dell’Inghilterra e della Francia. Sebbene la Finlandia con la firma del Trattato di Mosca del 12 marzo 1940 dovette cedere parte del territorio all’Unione Sovietica, l’abilità tattica di Mannerheim e la resilienza delle forze finlandesi assicurarono che il nucleo della nazione rimanesse intatto.

Inevitabilmente nel 1941, la Finlandia, nel tentativo di riconquistare i territori perduti, si avvicinò alla Germania e ne divenne cobelligerante al fine di ricevere importanti rifornimenti di armi e supporto industriale. Mannerheim condusse quindi, dal 1941 al 1944, la Guerra di Continuazione approfittando dell’invasione nazista dell’Unione Sovietica. Tuttavia, quando le sorti della guerra si rivolsero contro le potenze dell’Asse, Mannerheim riconobbe la necessità di un ritiro strategico. Mannerheim osservò attentamente l’interessante parallelo con l’Italia, dove un simile approccio fu tentato iniziando con la destituzione di Mussolini il 25 aprile 1943, e aspettò di vedere la reazione di Hitler. Pose, più tardi, la stessa attenzione alle azioni di Hitler contro un simile tentativo dell’Ungheria. Pertanto facendo attenzione ad evitare qualsiasi rappresaglia tedesca, incluso un possibile bombardamento di Helsinki, che non era protetta, nella tarda estate del 1943, con l’approvazione della leadership politica finlandese e il sostegno del Regno Unito e degli Stati Uniti, iniziò un’abile negoziazione per una pace separata con l’Unione Sovietica che si concretizzò il 19 settembre 1944, preservando l’indipendenza della Finlandia, evitando l’occupazione e la sorte dei paesi dell’Europa orientale dopo il 1945.

Una delle condizioni dell’armistizio prevedeva che i finlandesi dichiarassero guerra alla Germania e disarmassero o cacciassero i soldati tedeschi che si trovavano in Lapponia. Questa condizione fu simile a quanto si dovette fare in Italia e in Romania dopo essersi arresi: combattere per liberare il proprio territorio dalle forze tedesche. Pertanto dal 28 settembre a novembre del 1944 i finlandesi combatterono una terza guerra: la Guerra di Lapponia.

Sotto l’egida di Mannerheim, la Finlandia riuscì così a preservare la propria sovranità, la propria democrazia parlamentare e la propria economia di mercato al prezzo di perdite territoriali limitate.

L’eredità di Mannerheim, che ha plasmato il destino della Finlandia, va oltre le sue imprese militari. Dopo la guerra divenne presidente della Finlandia, servendo dal 1944 al 1946.

Esortazione alla pace

Dal Colonnello Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo sull’enciclica di Papa San Giovanni XXIII dedicata alla pace

Si è appena concluso, presso la Domus Pacis di Assisi, un incontro di formazione e aggiornamento pastorale dei cappellani militari. Ai lavori, avviati dall’Arcivescovo ordinario militare per l’Italia, Santo Marcianò, hanno partecipato circa 150 cappellani assieme ad alcuni rappresentanti dell’Associazione per l’Assistenza Spirituale alle Forze Armate (P.A.S.F.A.), organizzazione laica che collabora con l’Ordinariato Militare.

Il convegno è stato incentrato sulla Lettera Enciclica di Papa San Giovanni XXIII “Pacem in Terris”.

Ultima enciclica di Papa San Giovanni XXIII, pubblicata l’11 aprile 1963, richiamava il fondamentale valore della pace. Fu la prima Enciclica che il Papa non indirizzò solo ai cattolici ma a “tutti gli uomini di buona volontà”, credenti e non credenti, perché la Chiesa doveva  rivolgersi ad un mondo senza confini e senza “blocchi”, non appartenendo né all’Occidente né all’Oriente.

In piena Guerra fredda e pochi mesi dopo la crisi del 1962 dei missili a Cuba dove il Vaticano svolse il ruolo di mediatore tra la Casa Bianca e il Cremlino, il Papa affermò che i conflitti “non devono essere risolti con le armi, ma piuttosto attraverso la negoziazione”. Pertanto furono esortate “tutte le nazioni, tutte le comunità politiche” a cercare “il dialogo, il negoziato” con lo scopo di ricercare ciò che unisce, tralasciando ciò che divide.

Nel richiamare il fondamentale valore della pace che “prima di essere equilibrio di forze esterne, essa è dono divino” sancì l’impossibilità della “guerra giusta”.

Il messaggio della Pacem in Terris esortava, la Chiesa e tutti, ad evolvere “verso una nuova, migliore umanità” ed enfatizzava l’importanza del rispetto dei diritti umani come conseguenza della visione cristiana dell’uomo.

Fu la prima Lettera Enciclica pubblicata interamente dal New York Times. Il Washington Post scrisse “Pacem in Terris …è la voce della coscienza del mondo”.

Nelle omelie e nelle riflessioni l’Arcivescovo Marcianò ha ricordato che il cammino della ripresa e della ricostruzione non è mai terminato, perché libertà, pace e giustizia sociale sono beni da difendere e promuovere giorno per giorno. Con questa consapevolezza ha rinnovato l’impegno per l’affermazione dei diritti dell’uomo e di ogni uomo e ha invocato Cristo salvatore perché dia una coscienza vigile nell’adempimento del dovere di cittadini e di cristiani. Ha infine esortato i tutti i partecipanti a seguire l’esempio di servizio, umiltà e fiducia in Dio di Papa San Giovanni XXIII al fine di continuare a servire con rinnovato impegno, dedizione e amore incondizionato la Chiesa e la grande famiglia delle Forze Armate e delle Forze di Polizia.

Un buon trattato

Dal Col. Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo sul Trattato CFE.

Il 10 maggio 2023 il presidente russo, Wladimir Putin, ha firmato un decreto per avviare la procedura per uscire definitivamente dal Trattato sulle Forze armate Convenzionali in Europa (CFE) firmato a Parigi il 19 novembre 1990.

Già nel 2007 la Russia aveva notificato la sospensione dell’applicazione delle disposizioni del Trattato CFE. Si era arrivati a ciò a seguito della mancata ratifica, da parte dei Paesi NATO, del Trattato CFE Adattato (redatto e approvato nel 1999) che teneva conto della dissoluzione del Patto di Varsavia e dell’espansione della NATO.

Alla sospensione dell’applicazione del Trattato è seguita, nel 2015, la cessazione, sempre da parte della Russia, della partecipazione alle riunioni del Gruppo Consultivo Congiunto del CFE.

Il vero successo del Trattato CFE era stato di negoziare un livello di parità nel settore delle forze armate convenzionali attraverso riduzioni asimmetriche. Ciò era stato raggiunto soprattutto grazie al nuovo pensiero del presidente sovietico Gorbaciov secondo il quale le relazioni tra gli Stati devono basarsi su reciprocità e cooperazione e che la condivisione dei pericoli implica il ricorso ad una “sicurezza comune”. A ciò Gorbaciov aggiunse una dimensione militare con il concetto dei “livelli di ragionevole sufficienza difensiva” quale base per qualsiasi concezione di controllo e riduzione degli armamenti e soprattutto per accettare riduzioni asimmetriche di armamenti e forze.

Si era riusciti a realizzare uno dei principi fondamentali di un equilibrato controllo armamenti cioè il principio del “pari livello di sicurezza” per tutti i partecipanti al dialogo ovvero la rinuncia da parte di ciascun membro della Comunità Internazionale a ricercare la superiorità militare per ottenere un margine di super sicurezza o per imporre sugli altri Stati la proiezione politica della propria potenza militare.

Uno degli scopi del Trattato, oltre a quello di livelli più bassi e verificabili degli armamenti convenzionali, era stato di diminuire la possibilità e il rischio di attacchi di sorpresa o intraprendere operazioni offensive su larga scala.

Con quest’ultima decisione, che segue all’uscita dal Trattato Cieli Aperti (si veda https://storiaesoldati.wordpress.com/2021/01/07/__trashed-2/ ) e alla sospensione del Trattato New Start, viene portato il colpo finale ai successi raggiunti dai negoziati multilaterali portati avanti durante la guerra fredda  (si veda https://storiaesoldati.wordpress.com/2022/07/01/equilibrio-passato/ ).

Le lancette dell’orologio sono state portate molto indietro. Del resto Machiavelli, nel basarsi su una concezione ciclica della storia, affermava che ”Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi”.

Voglio sperare che, come scrive Benedetto Croce in “La storia come pensiero e come azione”: «in senso assoluto, e in istoria, non c’è mai decadenza che non sia insieme formazione o preparazione di nuova vita, e, pertanto progresso» e che quindi ci si sforzerà presto a riavviare negoziati per tornare ad un clima di fiducia e stabilità e ad escogitare nuovi strumenti ancora più efficaci.

Il battesimo del fuoco

Dal Colonnello Vincenzo Stella, già comandante delle gloriose Voloire, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo che ricorda il battesimo del fuoco delle Batteria a Cavallo.

L’8 aprile 1848 le Batterie a Cavallo ricevettero il battesimo del fuoco. Lo stesso giorno in cui ricorre l’anniversario della loro costituzione (8 aprile 1831).

Anche il neocostituito Corpo dei Bersaglieri ebbe il battesimo del fuoco nello stesso giorno e nella stessa battaglia.

Era l’inizio della prima guerra d’Indipendenza. Le Batterie a Cavallo erano 3. Ognuna costituita da 4 Ufficiali, 20 “Bassufficiali e caporali”, 194 “Soldati e altri considerati come tali”, 210 cavalli, 6 cannoni da 8 e 2 obici da 15.

La 1^ Batteria ebbe il primo combattimento a Monzambano, la 2^ a Curtatone, la 3^ a Sommacampagna. Le Batterie furono schierate, e spesso presero posizione al galoppo, assieme a “Savoia Cavalleria”, “Aosta Cavalleria”, “Novara Cavalleria”, “Genova Cavalleria”, “Nizza Cavalleria” e “Piemonte Reale Cavalleria”.

La prima Medaglia d’oro al valor militare guadagnata combattendo le guerre per l’indipendenza italiana fu conferita ad un artigliere. Era il Luogotenente Giacchino Bellezza, della 1^ Batteria a Cavallo, che il 6 maggio 1848 si distinse in azione, salvando il Re, nel corso della Battaglia di Santa Lucia, alle porte di Verona.

Le tre batterie parteciparono alla battaglia di Goito il 30 maggio 1848 contribuendo a far scrivere “L’artiglieria tutta e la cavalleria meritano particolare lode; allo stesso nemico imposero ammirazione; esse in valore e disciplina , furono come sempre l’esempio dell’armata” (Ordine del giorno emanato del Re Vittorio Emanuele II nel luglio 1849) e soprattutto alla concessione della Medaglia d’oro al valore militare all’Arma di Artiglieria “Per l’ottima condotta tenuta sempre e dovunque dall’Artiglieria” (Bollettino N. 4 del 1849).

Ecco anche spiegato perché con l’Atto Ministeriale n. 21 del 24 gennaio 1895, il Ministro della Guerra stabilì che l’Artiglieria festeggiasse ogni 30 maggio l’anniversario della battaglia di Goito e della resa di Peschiera.

Un colpo per Milano!

Dal Colonnello Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo sul legame tra la corsa podistica “Stramilano” e il Reggimento Artiglieria a Cavallo.

Domenica 19 marzo 2023 un colpo di cannone delle Batterie a Cavallo darà il via alla 50a edizione della Stramilano.

Il primo colpo di cannone fu sparato il 13 aprile 2002: quel giorno un pezzo al completo (capopezzo, 7 artiglieri e 11 cavalli) della Batteria storica del Reggimento Artiglieria a Cavallo partì dalla Caserma Santa Barbara per recarsi in Piazza Duomo.

Quella edizione della Stramilano, fu particolarmente fortunata. Rachid Berradi vinse stabilendo il nuovo record italiano della mezza maratona in 1h00’20” consacrandosi primatista italiano fino al 2021 quando tale record verrà battuto.

Dal 2002 tutte le edizioni della Stramilano partono con un colpo di cannone del Reggimento Artiglieria a Cavallo. Il legame della manifestazione con le Forze Armate si è arricchita con il tempo della presenza di una Fanfara dei Bersaglieri, della Banda musicale della Arma dei Carabinieri e della Croce Rossa Italiana che assicura l’assistenza sanitaria: peculiarità unica in Italia.

Stramilano: buona corsa!

Scegliere il coraggio

Dal Colonnello Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questa recensione libraria su una figura luminosa quale è stata Emanuela Setti Carraro Dalla Chiesa (1950 -1982)

“[…] Emanuela era ed è la figura di un “piccolo mondo antico” aperto alla modernità, cresciuta nella consapevolezza del ruolo della donna non solo in famiglia ma anche nella società, una donna che ha messo a frutto le proprie convinzioni con l’intenso impegno di uno splendido apostolato laico. […]”

Con questa presentazione di Emanuela Setti Carraro Dalla Chiesa inizia la biografia dal titolo “Il coraggio di una scelta”, redatta da Mariangela Olivieri a 40 anni dalla sua tragica uccisione.

L’appassionante biografia è ricca delle testimonianze di coloro che l’hanno conosciuta. Prima a scuola e in università, poi in Croce Rossa, nell’Ospedale Militare di Milano, nel Policlinico e presso le Batterie a Cavallo dove svolgeva l’Ippoterapia (argomento del quale ho già narrato https://storiaesoldati.wordpress.com/2021/04/03/fraternita-a-cavallo/). La biografia continua con il racconto dell’incontro e del matrimonio con il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

La sua passione ed impegno nell’aiutare il prossimo vengono indicati come modello di esempio di vita da tramandare.

Il libro è posto in vendita al pubblico via il sito web http://www.edizionisanpino.it

“Il coraggio di una scelta” Edizioni Sanpino, 144 pagine, 10 euro, codice ISBN: 9791280546258.

Veloce verso il nemico

Dal Colonnello Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante articolo sul Reggimento Artiglieria a cavallo nella campagna militare di Russia.

Il 27 gennaio 1943 lo Stendardo del Reggimento Artiglieria a Cavallo, che già aveva meritato sul Fronte russo due Medaglie d’Argento al Valor Militare, venne fatto bruciare all’interno di un carro T-34 russo in fiamme appena colpito da una delle ultime granate sparate dai pezzi della 2^ Batteria. Questo gesto estremo avvenne nel corso dell’imponente offensiva sovietica, “Ostrogožsk-Rossoš”, iniziata il 12 gennaio 1943, che, a seguito della sfondamento dei settori contigui presidiati da Unità ungheresi e tedesche, con un movimento a tenaglia, aveva circondato il Corpo d’Armata Alpino dell’Armata Italiana in Russia (ARMIR).

Lo Stendardo, gli uomini, i cavalli e i pezzi delle “Volòire”, combattendo con perizia e coraggio fino all’estremo sacrificio in unione a cavalieri, fanti, bersaglieri e alpini, si immolarono sul Fronte russo. Il bilancio accertato delle perdite del reggimento, solo nel periodo novembre 1942 – gennaio 1943, fu altissimo: 357 morti, 323 feriti e 429 dispersi. Pochissimi ritorneranno dalla prigionia.

Il Reggimento Artiglieria a Cavallo, forte di 1816 uomini, era partito, il 24 luglio 1941, per il Fronte con il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.), inserito nel Gruppo di Armate Sud, ed era inizialmente inquadrato nella 3^ Divisione Celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta”, composta da unità a cavallo e unità motorizzate.

Successivamente, il 15 marzo 1942, le “Batterie a Cavallo” furono inserite nel neocostituito “Raggruppamento Truppe a Cavallo” che, riunendo i reggimenti a cavallo che si trovavano in Russia, si poneva lo scopo di sfruttare le capacità di manovra e di autonomia che le truppe montate avevano in un terreno con poche strade per effettuare infiltrazioni nelle retrovie nemiche e interromperne il flusso dei rifornimenti. Nell’ambito di questo impiego il II Gruppo, comandato dal Tenente Colonnello Albini, sparò ad “alzo zero” per appoggiare la carica di “Savoia” a Isbuscenskij.

Infine, le “Volòire”, già schierate sul Don, nell’ottobre 1942 passarono alle dipendenze del Corpo d’Armata Alpino e i gruppi dipendenti distaccati alle Divisioni Alpine “Tridentina”, “Cuneense” e alla Divisione “Vicenza” combattendo fino al loro completo annientamento. Nel corso del offensiva russa, nello sforzo di controbattere le forze corazzate avversarie e nel disperato, eroico tentativo di aprire un varco alla colonna della Divisione “Vicenza” il comandante del I Gruppo, esaurite le munizioni, caricava furiosamente il nemico. Per evitare che l’asta, il puntale e il drappo, in consegna al I gruppo, cadessero in mani nemiche, furono fatti bruciare in un T-34 russo in fiamme nei pressi di Nowo-Charkowka. Degli eroici artiglieri a cavallo del I gruppo nessuno riuscì a salvarsi.

Il Reggimento Artiglieria a Cavallo sarà ricostituito il 20 novembre 1946 nella Caserma Santa Barbara di Milano e il 4 novembre 1947 riceverà il nuovo Stendardo assieme alla 3^ Medaglia d’Argento al Valor Militare per quanto fatto nel gennaio 1943 sul Fronte russo. La motivazione della medaglia termina con le seguenti parole: “….Coi Gruppi assegnati a Grandi Unità di fanteria e alpine, durante un aspro e rischioso ripiegamento, superava difficoltà di ogni sorta e senza mai desistere dal combattimento riusciva in ogni situazione arditamente manovrando, e sino al limite di ogni umana possibilità, a tutelare alpini e fanti contro l’incalzante, continua assillante marcia di forze corazzate avversarie. Fiero di essere a guardia delle tradizioni delle vecchie “Volòire”, fornendo esempi sublimi di eroismo e di altruismo si sacrificava nella totalità attorno ai suoi pezzi, che solo l’inesorabile massa d’acciaio nemica, annientandoli col peso, riusciva a far tacere.” 

L’artiglieria degli stratagemmi

Dal Colonnello Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questa interessante recensione del libro “L’artillerie des stratagèmes ” del Colonnello dell’esercito francese Olivier Fort

“[…] nell’immaginario collettivo, l’artiglieria è l’arma della potenza e, nella mente di ciascuno, quando è impiegata, essa serve a distruggere.[…]

L’arte dello stratagemma, […], mira ad ottenere degli effetti indiretti, spesso per ingannare un avversario. […] L’artiglieria sembra dunque, a prima vista, incompatibile con i trucchi della guerra.

Paradossalmente, questa contraddizione apparente, così come lo straordinario potere psicologico dell’artiglieria sui combattimenti, ne fanno un’arma eccezionalmente adatta alla pratica dello stratagemma e delle tattiche di inganno.”

E’ quanto scrive lo storico militare Olivier Fort, già Colonnello di artiglieria francese, nel libro “L’artillerie des stratagèmes” (L’artiglieria degli stratagemmi).

L’autore, nell’illustrare l’importante ruolo dell’artiglieria nella realizzazione dell’inganno, presenta, in ordine cronologico e per tipologia, gli stratagemmi impiegati dall’artiglieria. Inizia con quelli messi in atto già quando l’artiglieria era impiegata solo nel tiro diretto e continua esaminando le numerose tipologie di inganni messi in atto, tramite il tiro indiretto, in numerose battaglie di cui alcune poco conosciute. Viene evidenziata la capacità di provocare non solo il panico nelle unità nemiche ma anche di portare i comandanti a commettere errori tattici e a volte strategici. In effetti lo scopo principale degli stratagemmi di artiglieria e ci cercare di distorcere la comprensione della situazione da parte del nemico.

Certo che “Il vero potenziale dell’artiglieria per la realizzazione degli stratagemmi ha preso vita con l’avvento dell’artiglieria delle traiettorie. Cioè un’artiglieria che può sparare a parecchi chilometri, oltre la vista diretta […]. In effetti, contrariamente alle unità di fanteria o di cavalleria delle quali i minimi movimenti sono osservati in permanenza, l’artiglieria non ha bisogno di spostare i suoi cannoni per portare i suoi effetti da un’estremità all’altra della zona d’azione. Nella maggior parte dei casi essa non si sposta ed è limitata solo dalla sua gittata.”

I progressi attuali e in divenire dell’artiglieria quali ad esempio i lanciarazzi, le granate di precisione, l’incremento di gittata e i radar controfuoco potranno fornire altri strumenti agli artiglieri per poter realizzare nuovi stratagemmi sia nella manovra che nella selezione degli obiettivi.

L’analisi permette di concludere che “l’artiglieria è l’arma della sorpresa. Essa permette di ingannare o manipolare il nemico, ma anche di rendere le nostre azioni meno facili da interpretare offrendo possibilità di azione più varie.”

L’opera affronta eventi e periodi ampi e complessi e pertanto indica una ricca bibliografia cui fare riferimento per eventuali approfondimenti.

Non ho dubbi nell’affermare che, non solo perché si tratta di un libro appassionante e ben documentato ma soprattutto per la ricchezza degli stratagemmi di artiglieria presentati, l’opera  “L’artillerie des statagèmes” merita di essere conosciuta non solo dagli appassionati di storia militare ma soprattutto agli artiglieri e da tutti coloro che potrebbero occuparsi di operazioni o di pianificazione operativa. Solo conoscendo la storia si potrà imparare dalle esperienze passate ed evitare di ripetere gli stessi errori.

Il libro è posto in vendita al pubblico via il sito web economica.fr.

“L’Artillerie des Stratagèmes” Éditions Économica, 224 pagine, 15 euro, codice: 9782717868937.

Condivisione strategica

Dal Colonnello Vincenzo Stella riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo sulla condivisione nucleare tra i Paesi dell’Alleanza Atlantica

Negli anni ’60 il presidente statunitense John Kennedy sostituì la dottrina della “rappresaglia massiccia” con la strategia della “risposta flessibile” che consisteva nel costituire un’organizzazione militare, convenzionale e nucleare, più articolata della precedente che consentisse di rispondere in modo proporzionale alle minacce.

Nell’aprile del 1962 il Segretario Generale della NATO, Dirk Stikker, presentò al Consiglio del Nord Atlantico (NAC) un rapporto sulla Politica di Difesa della NATO nel quale veniva posta l’attenzione sul controllo e la condivisione delle forze nucleari dell’Alleanza.

Sebbene sia gli Stati Uniti che il Regno Unito avevano ribadito la loro disponibilità a rendere disponibili all’Alleanza armi nucleari adeguate in numero e tipo per soddisfare i bisogni della difesa della NATO, a seguito di discussioni ai più alti livelli, si raggiunse il consenso di costituire il Gruppo di pianificazione nucleare (NPG: Nuclear Planning Group). Con esso veniva istituzionalizzato il legame attraverso il quale veniva mantenuta la garanzia delle potenze nucleari dell’Alleanza.

L’NPG fu costituito nel dicembre 1966 e la sua prima riunione si tenne a Washington il 6 e 7 aprile del 1967, a livello di Ministri della Difesa. Esso era, ed è, il più alto comitato dell’Alleanza in materia di politica nucleare ed ha la stessa autorità del NAC. La sua composizione si distingue da quella del NAC per l’assenza della Francia. Le decisioni dell’NPG sono prese per consenso, come avviene per tutte le decisioni di ogni comitato della NATO.

Con il coinvolgimento dei paesi membri nella definizione della politica e dottrina nucleare si realizza la “condivisione nucleare”: uno dei principi politici dell’Alleanza nel campo della deterrenza nucleare. In tal modo l’NPG contribuisce nel supportare lo scopo della capacità nucleare della NATO: preservare la pace, prevenire la coercizione e dissuadere dall’aggressione.

Tuttavia negli ultimi 50 anni la NATO ha ridotto la dipendenza della sua strategia dalle armi nucleari. Infatti dal 1971 sono state fatte notevoli riduzioni sia nel tipo che nel numero: erano schierati 11 tipi di sistemi nucleari e si è arrivati ad averne uno solo.  

I lavori dell’NPG sono preparati dall’NPG Staff Group che tratta anche dell’efficacia della deterrenza nucleare dell’Alleanza, la sicurezza e capacità di sopravvivenza delle armi nucleari, i sistemi di comunicazione.

Esiste infine un organo consultivo di alto livello, l’NPG High Level Group (HLG), presieduto dagli Stati Uniti e composto dai rappresentanti della politica di difesa nazionale provenienti dalle capitali di ciascun Paese membro della NATO.