Passato, presente e futuro

La Bandiera è simbolo di unità ed identità per tutti i cittadini; la Bandiera di guerra di un Corpo militare (concessa con apposito Decreto del Presidente della Repubblica) a questi elementi distintivi ne aggiunge un ulteriore: il valore dei suoi appartenenti. E come si esprime questo valore che per un Corpo può essere generale (ma non astratto perché deriva dal suo operare)? Appunto dalle decorazioni alla sua Bandiera.
Le plurime decorazioni appuntate alla Bandiera testimoniano il passato del Corpo e rappresenta il valore dei suoi appartenenti.
Ma queste decorazioni non sono solo testimonianza del passato quanto impegno per il futuro: il militare che apparterrà a quel Corpo, guardando la Bandiera di fronte alla quale presterà giuramento, saprà subito non solo cosa hanno fatto quelli prima di lui ma vedrà anche la strada di dedizione e di dignità che si apre davanti a sé.
Unità, identità, valore, dedizione e dignità: quante virtù racchiude la Bandiera!

A proposito di Onore

Se qualcuno desiderasse riflettere sul concetto di Onore militare, molto aiuterebbe la visione del film “Codice d’onore” (A few good man), uscito nel 1992, con protagonisti Tom Cruise, Jack Nicholson e Demy Moore. Il film ebbe un enorme successo mondiale e fu candidato agli Oscar del 1993 come miglior film dell’anno.

Narra la storia di due Marines accusati di aver ucciso un commilitone nella base militare USA di Guantanamo- Cuba. La difesa dei due militari viene affidata ad un giovane Tenente del Navy Judge Advocate General’s Corps (JAG), avvocato esperto solo nel patteggiamento e non nel dibattimento, che in una instancabile ricerca della verità e della giustizia riesce a dimostrare che i due Marines eseguirono un ordine illegittimo impartito dai superiori nel nome di un’errata percezione dell’onore militare da parte loro.

Infatti se è vero che l’onore militare è un elemento fondante del soldato e dell’unità a cui appartiene, non va mai dimenticato che prima del soldato c’è l’uomo le cui virtù basilari ed essenziali (basti pensare alle cosiddette “Virtù Cardinali” della Giustizia, Fortezza, Temperanza e Prudenza) ne definiscono il valore e l’onorabilità, indipendentemente dal gruppo sociale di appartenenza.

È sempre bene rammentarlo, specie nei momenti difficili in cui è la scelta e la conseguente azione a fare l’Uomo.

La regola del militare

La condizione militare deriva da una disponibilità illimitata al servizio che è necessaria premessa di affidabilità; origina dalla subordinazione degli interessi personali a quelli dell’organizzazione militare per contribuire all’ottimale funzionamento di quest’ultima, dalla lealtà all’Istituzione militare ed agli scopi da questa perseguita coerentemente alla Costituzione e alle leggi; è concretizzata dalla coscienza di servire sempre la comunità; è garantita dall’imparzialità dei militari che si fonda sulla loro estraneità alle lotte politiche e sociali, fedeli solo al giuramento prestato verso lo Stato fondato sui principi democratici, garantiti dalle libere Istituzioni previste dal nostro ordinamento costituzionale.
La militarità è, in ultima analisi, una REGOLA spirituale, chiara e vincolante per tutti, che deve essere intimamente accettata dai militari perché ne rappresenta l’atipicità, la peculiarità e la distinzione. Solo la quotidiana pratica della REGOLA ci rende degni del sacrificio di chi ci ha preceduto, del patto di fiducia instaurato con i cittadini, delle speranze che il Paese ripone nei propri soldati.

L’esercito migliore

L’esercito migliore non è necessariamente il più potente. È migliore l’esercito che si distingue, oltreche per capacità operativa, per i valori etici che possiede e, soprattutto, pratica.

Allo strumento militare è delegato, da parte dell’autorità politica, l’uso della forza che va usata proporzionalmente alla minaccia, rispettando le regole contenute nelle convenzioni internazionali (in primis le convenzioni di Ginevra e de L’Aja) ma anche i basilari principi umanitari.

L’esercito migliore poi non agisce mai, direttamente o indirettamente, contro il potere legittimamente costituito ma serve sempre lo Stato di cui è promanazione.

In sostanza, può definirsi migliore quell’esercito che risulta dall’eccellenza combattiva e dalla superiorità etica: la prima si raggiunge tramite l’addestramento mentre la seconda si consegue per mezzo della formazione.

Addestramento e Formazione costituiscono dunque il binomio vincente e imprescindibile da cui discende la migliore Istituzione militare auspicabile e possibile.

Il decalogo

All’ingresso in Accademia Militare nel 1986 (ma suppongo anche prima o dopo quell’anno – attualmente non so…) veniva distribuito all’aspirante Allievo Ufficiale un Decalogo del Cadetto che ripropongo nell’immagine d’apertura. Era una (opportuna e necessaria) introduzione, breve ma efficace, all’etica militare.

A rileggerlo oggi fa effetto, specialmente per l’immutato quadro di riferimento valoriale che offre. Come tutti i valori, questi sono astratti ma incidono nella realtà dell’individuo e quindi nella vita della comunità di cui l’individuo fa (o farà) parte. Ispirarsi a loro significa avere dei punti di riferimento ideali che con l’operare diventano dei fatti. E l’uomo è sempre e soprattutto ciò che fa.

Lascio al lettore dunque la riflessione (e l’eventuale commento) su ciascun punto del Decalogo: da parte mia mi limito ad osservare che questo vale ancora oggi non solo per il Cadetto ma per chiunque voglia intraprendere la vita militare, in ogni ordine e grado.

Pietà militare

La guerra delle Falklands/Malvinas si svolse nell’aprile- giugno 1982 e vide contrapposti gli argentini (che avevano invaso le isole da loro storicamente rivendicate) ai britannici (legittimi possessori riconosciuti dalla comunità internazionale).

Al termine del conflitto, si contarono 255 caduti nelle file britanniche e 649 in quelle argentine. Quest’ultimi caduti, nella gran parte, non furono rimpatriati ma lasciati sui campi di battaglia (mentre solo 13 caduti britannici vennero inumati nel cimitero militare a loro dedicato nelle Falklands).

Dei caduti argentini rimasti si fece carico, su ordine delle superiori autorità britanniche, un (allora) trentenne Capitano di nome Geoffrey Cardozo che, con profonda pietà umana e spiccato senso cameratesco, raccolse i corpi dei caduti argentini, li identificò laddove possibile (infatti molti rimasero ignoti e solo di recente i più sono stati identificati da una commissione appositamente istituita dal Comitato internazionale della Croce Rossa di Ginevra) e li raccolse in un cimitero militare argentino inaugurato, con tutti gli onori, dai britannici nel febbraio 1983.

A Geoffrey Cardozo (la cui storia ricorda quella del nostro colonnello Paolo Caccia Dominioni), oggi in pensione col grado di colonnello dell’esercito di Sua Maestà la Regina, per la sua pietosa opera furono giustamente riconosciuti i massimi onori sia da parte argentina che britannica: a loro si aggiunga sommessamente l’ammirazione commossa e partecipe di chi scrive.

Libertà e valore

Il valore del soldato italiano è legato alla sua libertà? E’ indubbio che il nostro esercito, come ogni esercito al mondo, sia composto in stragrande maggioranza da valorosi perché il valore, credo, è connaturato alla persona e dunque al Protoguerriero (come lo definiva Oriana Fallaci) che è insito in lei. Non voglio certo dimenticare chi valoroso non è o non lo è stato al momento della prova: una condizione che indubbiamente esiste ma personalmente giudico innaturale. Mi sono chiesto il perché e ho trovato una possibile ragione, tra le tante, nel bene supremo che appartiene all’individuo, forse ancor più della stessa vita: la sua libertà. Il soldato è dunque tanto più valoroso quanto più è libero, non tanto nel proprio agire (è ovviamente sottoposto agli ordini che riceve e che ne indirizzano l’operato) quanto nella propria coscienza. Il valore pertanto è anche una scelta dettata dall’anelito di libertà insito in ciascuno di noi, un moto dell’anima verso la realizzazione di sé che non può prescindere comunque da una scelta coerente con la propria coscienza. Per questo, in fondo, il valore è puro e incorruttibile e pertanto meritevole della più alta considerazione individuale e collettiva.
Scrivendo queste brevi annotazioni sul valore fondato sulla libertà che deriva dalla propria coscienza, mi tornava alla mente la figura del Senatore a vita Ferruccio Parri, il Comandante “Maurizio” della Resistenza all’occupazione straniera della nostra Patria, ufficiale di fanteria nella Grande Guerra decorato con ben tre medaglie d’argento al valor militare. Scriveva Parri prima di un assalto sulle sue motivazioni verso il combattimento: ” sii in pace con te stesso.”
Forse anche Parri aveva letto l’immortale nostro Raimondo Montecuccoli che molto prima di lui, scriveva nell’introduzione dei suoi celebri Aforismi dell’arte bellica: /…/ conciossiachè la vera gloria è il testimonio della nostra coscienza! E che pro ch’altri ci lodi, quando ella ci accusa? O che nuoce che altri ci biasimi, se ella ci difende? /…/

Etica esemplare

E’ la combinazione di due sentimenti, uno collettivo l’altro individuale, che spinge il Tenente del Servizio di Amministrazione Rodolfo Betti (in servizio presso la Divisione di fanteria Perugia) ad immolare, sotto il fuoco criminale del nemico, la sua giovane vita (aveva appena 23 anni) durante i tragici fatti accaduti in Albania dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Il sentimento “collettivo” è quello del cameratismo per il quale ci si sente affratellati a coloro che appartengono alla stessa Unità e con cui si condivide un medesimo destino, l’altro è il coraggio che ha la sua radice etimologica in “cor” che notoriamente in latino vuol dire “cuore”. Sono sentimenti che appartengono a tutti i soldati, indipendentemente dal loro grado o funzione, e che danno sostanza al significato di etica militare: il sacrificio di Rodolfo Betti lo testimonia. In ogni tempo e in ogni luogo il cameratismo e il coraggio sono fondamentali per ben operare e riuscire ad essere sempre fedeli al giuramento prestato davanti alla Bandiera, ai commilitoni e al Comandante, che di questi valori è il custode. A questo guardò il giovane Tenente Betti quando si mosse coraggiosamente verso il nemico. Non si sentì di sopravvivere al vile eccidio del proprio comandante, colpevole agli occhi del nemico di dignità e coscienza di sé. La motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa alla memoria al Tenente Rodolfo Betti (Perugia 23.2.1920 – Kucj -Albania – 7.10.1943) ne rende imperituro ed esemplare per tutti il gesto.

Direttore dei conti, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 partecipava valorosamente con il proprio reggimento alla guerriglia contro i tedeschi. Catturato insieme ad altri ufficiali, venne escluso, perché appartenente ai servizi, da coloro che dovevano essere fucilati per la resistenza opposta ai nazisti. Presente alla strage dei propri colleghi, non resistette al pensiero di poter sopravvivere alla immane tragedia e, portatosi con energica fierezza avanti a tutti, prese il posto di altro ufficiale gridando ai massacratori: “Voglio cadere dove è caduto il mio Colonnello”. Nel momento in cui cadeva crivellato dal piombo tedesco, trovava ancora la forza di gridare “Viva l’Italia!”. Fulgido esempio di sacrificio, di dedizione al dovere e di amor di Patria”.

Giuramenti a confronto

Recentemente mi sono imbattuto nella formula di giuramento previsto per i militari appartenenti alla Bundeswehr (la Difesa federale tedesca):

Ich schwöre, der Bundesrepublik Deutschland treu zu dienen und das Recht und die Freiheit des deutschen Volkes tapfer zu verteidigen.》

Artikel 9 Soldatengesetz

(Io giuro, di servire con fedeltà la Repubblica federale di Germania e di difendere con valore il diritto e la libertà del popolo tedesco.)

(Articolo 9 Legge dei soldati)

Naturalmente, si pone il confronto con la formula di giuramento previsto per i militari italiani:

《Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere, con disciplina ed onore, tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni.》

Art. 575 D.P.R. 15 marzo 2010 n.90 “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare – T.U.O.M.”

Lascio ai lettori di questo Blog ogni conseguente (eventuale) riflessione sulle comunanze/diversità delle due formule, le quali esprimono entrambe gli elementi costitutivi della militarità nelle rispettive nazioni.

Le tradizioni militari

Le tradizioni sono la sostanza della cultura della memoria. Questo vale anche per le Istituzioni militari che dalle tradizioni traggono la propria identità ed ispirazione per la loro azione, sempre coerente con i valori espressi dalla tradizione, ponte ideale tra passato e presente (d’altraparte, lo stesso termine deriva dal latino Traditio che significa passaggio, trasferimento, consegna). Le tradizioni militari concorrono all’etica del militare di ogni ordine e grado, lo accompagnano durante tutta la sua vita, anche quando non più in servizio attivo.

Le tradizioni militari si compongono di avvenimenti, persone, principi e prassi legate alla storia dell’Istituzioni militari. Appartengono alle tradizioni militari anche i canti e la musica. Le cerimonie e ricorrenze sono i momenti in cui le tradizioni vengono richiamate e celebrate. Esse costituiscono lo “Spirito di Corpo”, componente essenziale ed aggregante di ogni Unità militare.

Elemento fondante delle tradizioni militari è dunque la conoscenza storico- militare: non si può fare memoria di ciò che non si conosce. Ne deriva la centralità della storia militare nella formazione del personale il quale deve essere sempre proiettato alle continue sfide del futuro avendo coscienza delle innumerevoli sfide vinte nel passato da chi lo ha preceduto, con disciplina e onore, nel servizio allo Stato.

Per concludere, il grande riformatore militare prussiano Gerhard von Scharnhorst diceva: “Tradizione significa marciare a capo del progresso“.